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BREVE GUIDA SUL MEDIATORE ED IL MERCATO IMMOBILIARE | ||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||||
1.
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Beni |
regola |
in
mala fede |
in
buona fede |
in
buona fede con titolo astrattamente idoneo |
Immobili
e diritti reali di godimento su immobili |
20 art. 1158 |
20 art. 1158 |
20 art. 1158 |
10 art.
1159 |
Universalità
di mobili e relativi diritti reali di godimento |
20 art. 1160 |
20 art. 1160 |
20 art. 1160 |
10 art.
1160 |
Fondi
rustici con abitazioni annesse in località montane o con basso
reddito |
15 art. 1159 bis |
15 art. 1159 bis |
15 art.
1159 bis |
5 con
titolo registrato art. 1159 bis L.346/76 |
Mobili
e relativi diritti reali di godimento |
20 art. 1161 |
20 art. 1161 |
10 art. 1161 |
alla
consegna art.
1153 |
Mobili
registrati e relativi diritti reali di godimento |
10 art. 1162 |
10 art. 1162 |
10 art. 1162 |
con
titolo trascritto 3 anni
dalla trascrizione art.
1162 |
Normalmente
non è richiesto il possesso in buona fede, ma ad
usucapionem, o qualificato, cioè pacifico, pubblico (nec vis,
nec clam) e
continuato (non interrotto). Se c'è clandestinità o
violenza, finchè non
cessano tali circostanze non decorre il tempo per l'usucapione.
Continuo
significa che non ci deve essere interruzione della situazione di fatto
per
oltre un anno (1167). Dopo l'interruzione il tempo deve decorrere per
intero
come se iniziasse ex novo il possesso.
Mentre
le azioni per la tutela della proprietà si chiamano petitorie,
quelle per la tutela del
possesso si chiamano possessorie.
Reintegrazione
o spoglio.
Quando un possessore è spogliato della cosa con violenza o
occultazione, entro un anno dallo spoglio, può chiedere al
giudice la
restituzione della cosa (1168). L'azione spetta anche al proprietario o
al
detentore a meno che non lo sia per servizio, tolleranza o
ospitalità. Se lo
spoglio è clandestino, l'azione si prescrive a partire dal
giorno in cui se n'è
avuta notizia. Il terzo acquirente a conoscenza dello spoglio (pertanto
in mala
fede) non può esimersi dal subire l'azione (1169).
Manutenzione.
È l'azione con cui si interrompe una
turbativa nei confronti di chi possiede, da più di un anno,
senza violenza o
clandestinità (o a un anno dalla cessazione di tali circostanze)
un immobile,
un diritto reale di godimento o un'universalità di mobili. In
altre parole,
quest'azione è concessa a chi ha il possesso qualificato del
bene. Quest'azione
spetta anche al possessore che abbia subito lo spoglio senza violenza o
clandestinità (1170), come alternativa all'azione di
reintegrazione. Le
molestie possono essere di fatto o di diritto, a seconda che siano
rivolte a
limitare il diritto o che siano dirette all'esercizio di un'azione
legale per
limitarlo.
Nunciazione.
È l'azione (cautelare) che si esperisce con denunzia di nuova
opera oppure con denunzia di danno temuto. La denunzia di nuova opera
spetta al
proprietario, o al titolare di un diritto reale di godimento, o al
possessore
di un fondo, che risulti danneggiato da un'opera in costruzione da meno
di un
anno (e non ancora ultimata). L'autorità giudiziaria svolge
dapprima
accertamenti sommari, quindi si pronuncia sulla sospensione o meno dei
lavori,
prendendo opportune cautele di risarcimento, o del danno al costruttore
per la
sospensione, o del danno al diritto del denunciante per la mancata
sospensione,
a seconda di come risulterà dalla sentenza definitiva (1171). Si
distingue,
quindi, una fase sommaria e una successiva fase inquisitoria più
approfondita.
La denunzia di danno temuto, invece, si riferisce a qualcosa che esiste
già e
che incombe pericolosamente sulla cosa oggetto del diritto
(proprietà,
usufrutto, servitù, possesso, ecc.). L'azione tende a che il
giudice verifichi
lo stato di pericolo immediato di un danno
grave. Anche qui il giudice prende
precauzioni per il risarcimento del danno eventuale di una delle parti.
È
logico che l'azione deve prevenire il danno, altrimenti si tratterebbe
di un
risarcimento del danno da fatto o atto illecito.
Diritti
personali, o di credito o relativi.
I
diritti reali, esaminati finora, sono quelli, come abbiamo già
detto, che si rivolgono a tutti e che non hanno bisogno del concorso
dell'opera
di nessuno al di fuori del titolare del diritto stesso. Esiste,
però, nella
vita sociale, anche la necessità di forme di relazione in cui un
soggetto operi
a vantaggio di altri per ottenere fini riconosciuti dall'ordinamento
giuridico
che altrimenti i singoli soggetti non potrebbero conseguire. Tali
situazioni
giuridiche comprendono diritti riferibili ed esigibili solo a
determinate
persone, legate in rapporti che li obbligano a tenere un preciso
comportamento,
o più in generale, una precisa prestazione. Il codice non
definisce ne' le
obbligazioni e ne' il rapporto obbligatorio, ma la dottrina classica vi
sopperisce:
Obbligatio
est iuris vinculum
quo necessitate adstringimus alicuius solvende rei secundum nostre
civitates
iura
È
un rapporto dal quale scaturisce un vincolo tra un soggetto
passivo (debitore) che deve fornire una prestazione in favore di un
soggetto
attivo (creditore).
Distinzioni
tra diritti reali e di credito.
Caratteristiche
dei diritti |
|
reali |
Di
credito |
tipicità |
Atipicità |
assolutezza |
Relatività |
immediatezza |
mediatezza |
inerenza |
non
inerenza |
Tipicità
significa tassatività dei diritti riconosciuti dall'ordinamento.
Assolutezza
con riferimento all'efficacia erga omnes. Immediatezza indica l'assenza
del
concorso e della partecipazione nell'esercizio del diritto. Inerenza
nei
riguardi della relazione che unisce il titolare del diritto all'oggetto
dello
stesso in qualunque posto si trovi. Oggi, però, tali
caratteristiche non
assicurano più una netta distinzione tra diritti reali e diritti
di credito,
perché, per esempio, un contratto preliminare, se registrato,
è opponibile ai
terzi, quindi, il contratto, pur essendo certamente espressione di un
rapporto
obbligatorio, con la registrazione perde la caratteristica della
relatività.
Per i diritti di credito non è possibile una tutela esterna,
cioè nei confronti
di chi è estraneo al rapporto, ma, oltre al caso sopra
rappresentato, a partire
dagli anni '70, la giurisprudenza ha concesso la possibilità,
per il creditore,
di ottenere il risarcimento per il danno subito derivante
dall'inadempimento
del debitore provocato dal terzo. In questa fattispecie, il debitore
inadempiente per causa a lui non imputabile (1218) (che dimostri ,
cioè, di non
avere avuto modo di fornire la prestazione, avendo tenuto un
comportamento
conforme alla normale cura o diligenza del buon padre di famiglia) non
è
ritenuto responsabile (responsabilità contrattuale), ma
sarà il terzo a dover
risarcire il danno (per responsabilità extra contrattuale) ex
art. 2043. La
giurisprudenza ci fornisce un esempio del passato remoto ed uno
più recente.
È
evidente l'evoluzione percorsa dalla giurisprudenza verso
l'appiattimento della
distinzione tra diritto reale e relativo rispetto alla caratteristica
dell'assolutezza. La distinzione che garantisce ancora una netta
distinzione è
quella basata sul tipo di titolo di acquisto. I
diritti reali si acquistano sia a titolo originario che a titolo
derivativo,
mentre i diritti relativi si acquistano solo a titolo originale.
L'obbligazione
è un vincolo giuridico per cui il debitore è tenuto
ad una prestazione, valutabile economicamente, nell'interesse del
creditore.
Elementi dell'obbligazione sono:
Dualità
del rapporto.
È chiaro
che per poter esistere un'obbligazione è necessario che nel
rapporto siano
presenti almeno due parti, di cui una passiva ed una attiva. Le due
situazioni
non è detto che siano nettamente delimitate e definite,
perché possono esserci
diritti e doveri reciproci, come nel caso della compravendita.
Interesse
del creditore.
Perché ci
sia rapporto obbligatorio bisogna individuare l'interesse del
creditore. Questo
elemento non deve mai mancare in tutta la durata del rapporto, oltre
che
esserci nel momento dell'assunzione dell'obbligo.
Prestazione.
È
l'oggetto dell'obbligazione. Deve
essere economicamente valutabile, anche se il beneficio non è di
tipo
patrimoniale (1174). La prestazione è libera, ma deve essere
degna di tutela da
parte dell'ordinamento (1322). Il concetto di "valutabilità
economica
della prestazione" collima con il contenuto dell'art. 814, che dice che
l'energia è considerata un bene quando è suscettibile di
valutazione economica.
Il carattere di patrimonialità del rapporto si evince da una
norma dettata per
i contratti, per i quali è tassativo che la prestazione (non
l'interesse del
creditore) sia di tipo patrimoniale (1321). I beni non patrimoniali (i
beni
demaniali dello stato, ad esempio) non essendo suscettibili di
valutazione
economica, perché non sono commerciabili, non possono essere
oggetto di un
contratto. Non è necessario che il beneficio diretto al
creditore (ossia il suo
interesse), sia un bene patrimoniale, ma è sufficiente che
l'interesse che questi
ha alla prestazione sia in qualche modo riconducibile, mediante un
indice di
patrimonialità, ad una valutazione economica (esempi ne sono la
caparra
penitenziale e la clausola penale, oppure la realizzazione di un'opera
pittorica).
Le
prestazioni possono essere in:
Il
rapporto obbligatorio si sviluppa intorno ai due aspetti del
credito e del debito, e la legge vuole che questa relazione sia
condotta da
ambo le parti con correttezza (1175). Il metro di valutazione della
correttezza
è quella clausola generale che va sotto il nome di buona fede
(1337). Ma non è
la buona fede del possessore che non deve possedere con la coscienza di
ledere
un diritto altrui (buona fede soggettiva), è una cosa diversa il
comportamento
delle parti che rispondere a criteri oggettivi,
per questo si tratta di una buona fede oggettiva, che si
misura
con la
diligenza del buon padre di famiglia (1176). Tra creditore e debitore
deve esistere
un rapporto di cooperazione. Il debitore deve preoccuparsi di adempiere
all'obbligo fornendo la prestazione secondo l'interesse del creditore,
il quale
a sua volta deve creare le condizioni adeguate a che possa ricevere la
prestazione, senza che il debitore sia gravato da ulteriori oneri.
Il
debitore può adempiere anche perché mosso dall'interesse
di
realizzare la sua personalità, quindi la remissione del debito
da parte del
creditore non ha efficacia se il debitore non accetta. L'interesse del
creditore è uno degli elementi costitutivi dell'obbligazione,
perché se viene a
mancare anche solo per un momento, e il debitore accetta la remissione,
l'obbligazione si estingue. Tale interesse può essere tale che
il creditore
chieda la prestazione direttamente dal debitore; a questo è
concesso di
devolvere a terzi solo se il creditore non ha un interesse a ricevere
la
prestazione personalmente dal debitore (1180), il che significa che non
basta
il capriccio del creditore, ci deve essere un interesse, come
può essere quello
di farsi dipingere un ritratto dall'artista debitore e non da un suo
allievo.
Dal
combinato disposto del 1174 e del 1218 si evince che il
mancato adempimento è gravido di effetti tendenti al
riequilibrio del rapporto.
Di fronte all'inadempimento il debitore è perseguibile. Il
creditore ha a
disposizione le azioni persecutorie
per ottenere la prestazione oppure un risarcimento del danno che il
debitore
dovrà pagare facendo conto su tutto il suo patrimonio di beni
presenti e
futuri. L'adempimento non è coercibile per i casi di
obbligazioni naturali
(debiti di gioco, sentimenti di gratitudine, ecc.) che non sono
riconosciute
dal nostro ordinamento, quindi non ricevono tutela giudiziaria (2034)
(1933),
fatta salva la soluti retentio, ovvero la prerogativa del creditore di
trattenere la prestazione se assolta volontariamente dal debitore
(eccetto che
questi sia incapace). In altri termini l'irripetibilità della
prestazione da
obbligazione naturale si applica a condizione che non ci sia violenza
(libera
volontà del debitore) e, di conseguenza, che il debitore sia in
quel momento in
grado odi intendere e di volere. L'ordinamento, se da un lato non
riconosce
effetti giuridici alle obbligazioni naturali, da un altro deve comunque
tutelare degli obblighi morali o sociali, se questi sono spontaneamente
ammessi
coi fatti dal debitore, riconoscendo effetti non all'obbligazione, ma
al suo
adempimento. Il principio giuridico è applicabile anche
all'adempimento di un
obbligazione, pur giuridicamente rilevante, si sia prescritta, o sia
stata
comunque estinta (anche annullata da sentenza passata in giudicato).
Si
distinguono 2 categorie di obbligazioni naturali, tipizzate (2°
co. art. 2034) e non tipizzate (1° co.). Qualche autore parla di
obbligazioni
rispettivamente imperfette e generiche. Imperfette (tipizzate),
perché non è
concessa l'azione legale per la sua tutela (debiti di gioco - 1933). Le
obbligazioni naturali non vanno confuse con gli atti di
liberalità (donazioni -
testamento), con i quali hanno delle attinenze. Entrambe mancano di
coercitività, cioè non costituiscono obbligo giuridico
finchè non gli si è dato
corso; chi dona non ha nessun obbligo di farlo. Differiscono
concettualmente
perché, mentre gli atti di liberalità costituiscono la
massima espressione
della libertà negoziale, quindi fondamentalmente sulla
liberà volontà del dante
causa, le obbligazioni naturali si fondano su un obbligo morale o
sociale.
Ci
sono tre elementi strutturali del rapporto obbligatorio. Uno di
questi è la dualità del rapporto, la coesistenza
cioè di due situazioni
soggettive. Si ammette che in una o in entrambe vi siano
contemporaneamente più
soggetti, implementati comunque in due fronti: la parte creditoria e la
parte
debitoria. In questo caso si distinguono obbligazioni: parziaria o
solidale.
Obbligazioni
parziarie o solidali.
Dal
lato passivo la legge fissa la presunzione di
solidarietà. Se le parti tacciono a riguardo, nel
senso che non risulti diversamente stabilito nel titolo costitutivo
dell'obbligazione, si intende che i diversi debitori sono tutti tenuti
all'adempimento per intero dal creditore. Questa presunzione va a
favore del
creditore, che vede aumentare le possibilità di ottenere la
prestazione,
potendo chiederla a uno qualunque dei creditori, e ciò fa comodo
quando uno o
alcuni dei creditori non sono solvibili. Il debitore a cui è
stato richiesto
l'adempimento può a sua voltare rivolgere agli altri debitori la
quota di
regresso, e nel caso che uno o più di questi fossero
insolvibili, il valore
della prestazione sarà ripartito tra i rimanenti debitori
solvibili.
Esistono
delle eccezioni riguardo ai coeredi, i quali rispondono
solo per la loro quota d'eredità. L'erede, se universale,
peraltro eredita il
complesso delle situazioni del dante causa, quindi anche le eventuali
passività, per le quali risponde anche con il suo patrimonio. Se
ci sono più
eredi, questi non risponderanno solidalmente delle obbligazioni, ma
solo nella
misura della quota d'eredità, e mai per l'intero debito. Il
rapporto
obbligatorio ha altri aspetti; se ad esempio uno dei creditori compie
una
ricognizione del debito per interrompere la prescrizione, anche gli
altri
debitori ne beneficiano. La prescrizione si interrompe anche per atto
di riconoscimento
del debitore. Ma l'ammissione del debito di uno dei debitori produce
effetti di
interruzione della prescrizione anche per gli altri debitori ? Oppure,
la
costituzione in mora fatta ad uno dei debitori, ha effetti anche sugli
altri ?
C'è una regola generale dettata dall'ordinamento, per cui, in
presenza di
solidarietà attiva o passiva, si estendono gli atti favorevoli
alle parti
agenti, e non invece per gli atti a sfavore delle parti (1294) (754 -
coeredi).
La costituzione in mora è un atto del creditore che crea uno
svantaggio per il
debitore, quindi in questo caso non si estendono gli effetti agli altri
debitori cui non è stata comunicata. Il riconoscimento del
debito di uno dei
debitori solidali non coinvolge gli altri, mentre andrà a
vantaggio di tutti
gli altri creditori solidali (1309). Stesso per la remissione del
debito,
essendo a favore di tutti i debitori, si estenderà anche a loro,
salvo che il
creditore non abbia specificato l'esclusione degli altri debitori. Il
creditore
può anche rinunciare alla solidarietà verso uno dei
debitori, conservandola per
i rimanenti. Il codice non si esprime per la solidarietà attiva.
Peraltro vi è
la presunzione opposta, cioè, se le parti non stabiliscono
diversamente nel
titolo, si intende che i creditori abbiano stipulato un'obbligazione
parziaria.
Pertanto, se un debitore vuole assolvere alla prestazione, la deve
rendere a
ciascun creditore per la sua quota, e non interamente ad uno solo di
essi,
perché in tal caso l'obbligazione non si estinguerebbe. Esiste
l'eccezione dei
depositi bancari (conti correnti e cassette di sicurezza), che per
legge sono
solidali dal lato attivo, ovviamente se vi fossero più
cointestarari del
deposito. Esempio di situazione attiva parziaria: se due coniugi in
regime di
comunione dei beni vendono una casa, sono titolari della metà
del credito
ciascuno, quindi l'acquirente dovrebbe pagare il prezzo metà ad
uno e metà
all'altro coniuge; a meno che non sia diversamente stabilito nel
contratto di
compravendita.
Obbligazioni
divisibili e indivisibili.
A
seconda che la stessa prestazione sia divisibile o meno:
Un'auto
non è divisibile senza che perda la sua essenza, di
conseguenza anche l'obbligazione avente ad oggetto la consegna di
un'auto sarà
indivisibile.
Alle
obbligazioni indivisibili si applicano le norme sulle
obbligazioni solidali.
Obbligazioni
cumulative e alternative.
Se
ci sono più prestazioni nell'ambito di una stessa obbligazione,
questa può rispondere a obbligazioni cumulative o alternative, a
seconda che
esista la previsione che le prestazioni siano rese tutte oppure una di
esse
soltanto, senza trascurare, nel secondo caso, a chi sia attribuita la
facoltà
di scelta della prestazione da rendere. Un esempio di obbligazione
cumulativa è
un pacchetto viaggio offerto da un tour operator, contenente il viaggio
e il
soggiorno, due prestazioni riferite ad una sola, e vanno adempiute
tutte. Se le
prestazioni sono alternative (es. 1179), il debitore si libera se
adempie ad
una di queste, a scelta, di norma, del debitore (1286), se non
stabilito
diversamente nel titolo. Per esempio la vincita di un premio per
l'acquisto di
un bene a scelta del vincitore in un determinato negozio. Il titolare
del ius
decidendi, una volta comunicata la scelta o data esecuzione a una
prestazione,
non può più cambiare idea; l'obbligazione diventa
semplice, non è più
alternativa. Da questo possono derivare effetti connessi al perimento
della
cosa.
Sono
fonti di obbligazioni, i contratti, i fatti illeciti ed ogni
altro atto o fatto idoneo a produrle (1173). Da questa classificazione
nasce il
problema aperto della tipicità delle obbligazioni, per via delle
ultime parole,
nelle quali confluiscono quei tipi che la dottrina classica definiva
quasi ex
contratto e quasi ex maleficio (fatto illecito). Ci sarebbe spazio per
supporre
che il legislatore abbia lasciato volutamente aperto il problema per
sancire
l'atipicità delle obbligazioni. Ma è forse un falso
problema, perché i 6 tipi
di obbligazione che trovano posto nel codice sono i soli che si sono
visti
nell'esperienza giuridica, e questo perché tutti i casi, nella
realtà, sono
riconducibili al contratto o al fatto illecito.
L'estinzione
naturale è quella dell'adempimento. Per adempimento
s'intende l'esatta prestazione che
emerge dal combinato disposto dei due articoli del codice:
Esatta
prestazione significa che deve soddisfare tutti gli
interessi del creditore, quindi il comportamento del debitore deve
tendere a
che il creditore sia soddisfatto nei suoi bisogni oggetto del rapporto.
Il
creditore da parte sua deve favorire l'adempimento del debitore, quindi
non
deve ostacolare, anzi deve mettere in atto tutto quanto è nelle
sue possibilità
affinchè il debitore non abbia oneri aggiuntivi. Gli articoli
seguenti al 1176,
fino al 1217, sono riferiti alle modalità che qualificano come
esatto
l'adempimento (surrogazione, mora del creditore, ecc.). Dal
Ad
esempio, se per conoscere la situazione di appartenenza di un immobile
mi
rivolgo ad un conoscente, la bontà delle informazioni
potrà non essere delle
migliori, e la responsabilità di quella persona saranno valutate
rispetto
all'uomo medio. Se invece incarico un professionista, questo
avrà
necessariamente una responsabilità maggiore. Al criterio
generale del 1° comma
del 1176 sull'uomo medio, soccorre quello del 2° che impone la
valutazione caso
per caso. Il debitore ha diritto alla quietanza, le cui spese rimangono
a suo
carico comunque. Ci sono tre elementi che influiscono sull'esatto
adempimento:
il luogo, il tempo e i soggetti (l'adempiente o il ricevente la
prestazione).
Se non ci sono accordi sul luogo di adempimento e non si può
evincere dalle
circostanze, il codice fissa alcuni principi, come il luogo dove
è sorta
l'obbligazione, o, se la prestazione è in denaro, il luogo di
domicilio del
creditore. Negli altri casi la prestazione va adempiuta al domicilio
del
creditore. Se adempiere nel domicilio del creditore, quando questi
avesse
cambiato domicilio, risultasse più oneroso, il debitore
può chiedere di
adempiere presso il proprio domicilio. Quindi, in definitiva i criteri
rispetto
al luogo sono tre.
L'altro
elemento che costituisce le modalità d'adempimento è
quello del termine. In
mancanza di accordi sul momento dell'adempimento, il creditore lo
può chiedere
la prestazione in qualsiasi momento (1183). In questo caso il debitore
può
rivolgersi al giudice perché fissi un termine. L'adempimento
può essere
lasciato all'arbitrio di una delle parti, mentre l'altra può
chiedere di
fissare un termine. Se il termine si rende necessario, lo stabilisce il
giudice. Se le parti hanno stabilito il termine (ad es. 30 gg. data
fattura
fine mese), si presume che il beneficio del termine vada a vantaggio
del
debitore, se non è stato stabilito il contrario (1184). Quando il beneficio del termine è in
favore del debitore, ma questi
decade prima della scadenza, ad esempio per diminuzione delle garanzie
prestate
per sua colpa, è tenuto all'adempimento immediato (1186) (2743).
La garanzia
principale è l'intero patrimonio del debitore, ma vi sono anche
garanzie
specifiche su una parte di esso: il pegno, l'ipoteca, ecc..
La
conseguenza più importante per la decadenza del termine, in
mancanza di adempimento immediato, è l'esecuzione forzata
dei beni del debitore. Il computo del termine è stabilito dalle
norme in materia di prescrizione, ed è lo stesso utilizzato per
computare il
trascorrere del tempo nel diritto, anche processuale. Il giorno di
partenza non
si conta. Il giorno di scadenza si calcola intero, cioè il
termine scade a
mezzanotte dell'ultimo giorno. Se la scadenza è in un giorno
festivo, salvo usi
locali, si protrae al successivo giorno feriale. Se l'unità di
misura è il
mese, il termine scade alla fine dello stesso giorno di partenza nel
mese che
risulta. L'altro elemento dell'esatto adempimento è il soggetto,
sia quello che
deve rendere la prestazione che quello che la deve ricevere.
Non
sempre ad adempiere sarà necessariamente il debitore, ma
può
essere un terzo a rendere la prestazione, come nel caso del padre che
paga il
debito del figlio. Il codice prevede che l'adempimento sia reso da un
terzo a
condizione che il creditore non abbia un interesse particolare per
richiedere
la prestazione direttamente al debitore (es. un intervento chirurgico
da parte
di un famoso specialista) (11801). Il creditore può rifiutare la
prestazione da
un terzo se il debitore ha comunicato la sua contrarietà
(11802). La scelta di
accettare la prestazione spetta in ultimo al creditore, è la sua
posizione a
ricevere la maggior tutela. Il terzo che ha reso la prestazione
può surrogarsi
al creditore, subentrando in quella posizione, ed esigendo la
prestazione a sua
volta dal debitore.
Di
regola la prestazione va resa al creditore, oppure al suo
rappresentante o comunque legittimata a ricevere, ma se avviene ad
altra
persona e il creditore ratifica l'adempimento, il debitore si libera
dal vincolo
(1188). Se mancano le circostanze della ratifica o dell'approfittamento
del
creditore, il debitore non è liberato dall'obbligazione. Esiste
differenza tra
la capacità del debitore e quella del creditore. Perché
l'obbligazione possa
estinguersi per adempimento, è richiesta la capacità del
solo creditore (1190);
il debitore, anche se incapace, non può ripetere l'adempimento
vantando la sua
incapacità (1191). Il creditore non può liberarsi
dell'obbligazione con
l'adempimento al creditore, se questo è incapace di intendere e
di volere in
quel momento, a meno che non dimostri che la prestazione è
andata comunque a
vantaggio del creditore (ed esempio se si rende al minore
d'età). La capacità
di agire del debitore è rilevante al momento del sorgere
dell'obbligazione.
Qui, il codice, per capacità intende quella naturale di
intendere e di volere,
diversa dalla capacità legale, richiesta per i contratti e i
matrimoni, che si
consegue con la maggiore età (2). L'adempimento a persona
apparentemente
legittimata libera il debitore in buona fede, ed impegna chi ha
ricevuto la
prestazione a renderla al titolare del credito (1189)(2033). Ad esempio
tizio
che afferma di essere rappresentante del creditore, vanta al debitore
una
procura (che deve avere la stessa forma dell'obbligazione, quindi
può essere
anche orale), e riceve da lui la prestazione. La procura, anche se
scritta, può
essere stata revocata; in entrambi i casi il falso rappresentante
assume
l'obbligazione verso il creditore, liberando il debitore iniziale.
Oltre
all'adempimento e all'impossibilità sopravvenuta, ci sono
altri modi di estinzione dell'obbligazione. Si è detto che
l'adempimento deve
essere esattamente eseguito, e si sono anche visti gli elementi che
influiscono
sull'esattezza della prestazione. Si è anche evidenziato il
criterio di
collaborazione tra creditore e debitore basato sulla correttezza e
buona fede.
Spesso si richiede la collaborazione del creditore, ad esempio quando
si deve
consegnare qualcosa, questi deve aprire i locali per ricevere la
consegna. Se
il creditore non pone in condizioni di poter eseguire la prestazione
possono
intervenire complicazioni del rapporto, con maggiori oneri per il
debitore, o
addirittura danni. Se le cause dell'inadempimento si riconducono
all'atteggiamento scorretto del creditore, il debitore può
considerarsi
liberato.
Mora
del creditore.
È
parificata all'esatta prestazione l'offerta formale, oppure
quando è impossibile per cause del creditore (se rifiuta
illegittimamente)
(1206). Il debitore non sarà inadempiente e non potrà
essere costituito in
mora, neanche per ritardo dell'inadempimento. Però,
perché si verifichino gli
effetti sul creditore che non collabora, lo si deve costituire in mora
in modo
formale, cioè rispondente a determinati requisiti (1208): se in
denaro (o in
beni fungibili) con offerta reale; altrimenti per mezzo di notifica
(intimazione a ricevere) fatta da un ufficiale pubblico. Gli effetti
riguardano
l'interruzione degli interessi verso il debitore, le spese di
conservazione o
deposito della cosa, nonché il risarcimento del danno (1207). In
ogni caso gli
effetti si verificano dal giorno dell'offerta se convalidata da
sentenza
passata in giudicato, oppure accettata dal creditore. Il debitore, per
impossibilità sopravvenuta, della prestazione si libera,
mantenendo ogni
diritto alla controprestazione eventuale. Il giudice, chiamato a
convalidare
l'offerta, accerterà che questa sia legittima, e poi che
risponda ai requisiti
di formalità. L'offerta reale, di per se', non libera il
debitore, ma è tesa ad
ottenere la costituzione in mora del creditore, e a far ricadere su di
lui gli
effetti. Siamo in presenza di ritardo, ma l'adempimento è ancora
possibile.
Infatti, il debitore che abbia costituito in mora il creditore, per
liberarsi
deve attuare l'azione di deposito (della merce o del denaro). L'offerta
reale è
riferita a denaro, titoli di credito o beni mobili, e si svolge presso
il
domicilio del creditore. Le cose mobili che si è stabilito di
consegnare in
altro luogo sono proposte con offerta per intimazione a ricevere,
esperita
dall'ufficiale giudiziario, nelle forme previste per l'atto di
citazione. Se è
una prestazione di fare, il creditore deve predisporre le condizioni
necessarie
per ricevere l'adempimento. Se la prestazione è la consegna di
un bene
immobile, oggetto dell'intimazione sarà la presa di possesso
dell'immobile
(1216). In ogni caso l'impossibilità di adempiere deve essere
verbalizzata da
un pubblico ufficiale autorizzato (un notaio ad esempio, non un
poliziotto)(1212).
Per
evitare che l'obbligazione resti in piedi a lungo, il debitore
può ricorrere al deposito, che deve essere approvato dal giudice
o dal
creditore stesso (1210). Ciò estingue l'obbligazione, con spese
a carico del
creditore. È comunque un procedimento che spetta solo al
debitore, è un suo
diritto potestativo. Per l'immobile è previsto l'intervento di
un
sequestratario.
Mora
del debitore.
L'inadempimento
del debitore avviene quando è scaduto il termine
per la prestazione, o quando abbia adempiuto solo in parte o in modo
non
esatto. Il ritardo è inadempimento. L'inadempimento non è
più ritardo quando la
prestazione è diventata impossibile o inopportuna (quando la
prestazione è
connessa a particolari circostanze, verificatesi le quali non ha
più ragione
d'essere). Dal momento in cui l'adempimento può avvenire,
partono i termini di
prescrizione, che devono essere interrotti dal creditore con un atto di
costituzione in mora (ritardo qualificato). Perché dal ritardo
si passi alla
mora è necessario un comportamento formale, oppure che il
ritardo si qualifichi
secondo quanto stabilito dall'ordinamento. Quindi per costituire in
mora il
debitore occorre un atto formale (ex personam), oppure, in taluni casi
previsti
dalla legge, avviene automaticamente (ex re), (quelle da fatto
illecito, quelle
per le quali esiste una dichiarazione scritta del debitore di non
volere
adempiere, quando è scaduto il termine e la prestazione andava
pagata al
domicilio del creditore). Gli effetti della mora del debitore,
conseguenza del
ritardo, sono: il risarcimento del danno (quello prevedibile al momento
in cui
sorse l'obbligazione), gli interessi moratori (al tasso che venne
stabilito o a
quello legale) (i moratori sono diversi da quelli compensativi del
mutuo). Le
conseguenze del perimento, ed il relativo risarcimento, ricadono sul
debitore,
anche se non dipendente da sua colpa. Quando la prestazione è
nel non fare, il
fare è inadempimento, e non è pensabile un ritardo
nell'adempimento o una
prestazione di mora; sarà inadempimento definitivo (1222).
Tutela.
Ci
sono due tipi di tutela: reale e risarcitoria.
Reale:
la possibilità di ottenere
comunque la prestazione anche in modo coatto.
Risarcitoria:
quando invece della
prestazione si vuole ottenere il risarcimento del danno derivante dal
mancato
adempimento.
Esistono
comunque dei casi in cui il debitore è liberato
dall'impossibilità sopravvenuta.
Se
la responsabilità è imputabile al debitore dovrà
risarcire il
danno.
L'art.
2930 del codice civile, se non è adempiuto l'obbligo di
consegnare un a cosa che si è deteriorata, mobile o immobile,
l'avente diritto
può ottenere la consegna o il rilascio forzato a norma delle
disposizioni del
codice di procedura civile.
Se
nemmeno una di queste forme è possibile, si deve far ricorso
alla tutela risarcitoria.
Sono
dei casi di tutela forzata:
I
criteri per i risarcimenti del danno sono menzionati
dall'articolo 1218 (responsabilità del debitore), e 1223:"il
risarcimento
del danno per l'inadempimento o per il ritardo deve comprendere la
perdita
subita dal creditore e il mancato guadagno che siano conseguenza
immediata e
diretta".
Es:
ho consegnato ad un soggetto delle forme di formaggio perché
me le custodisse e poterne ottenere la stagionatura; a causa del
comportamento
del debitore si ha un deterioramento del formaggio; il proprietario
subirà una
perdita, ma anche un mancato guadagno per non aver potuto vendere la
merce.
Il
codice detta anche i casi dell'inadempimento da parte dei
soggetti ausiliari del debitore, che in ogni caso è tenuto al
risarcimento per
dolo o colpa di quelli.
A
garanzia del rapporto obbligatorio sono previste diverse tutele
per la conservazione del patrimonio del creditore.
Art.
2740 c.c. "il debitore risponde dell'inadempimento delle
obbligazioni con tutti i suoi beni presenti e futuri". E' una garanzia
per
il creditore che produce maggiori effetti quando l'obbligazione non
è stata
adempiuta, ma prevede anche alcuni strumenti cautelari che può
esperire nei
confronti del debitore.
Art. 2900
c.c. condizioni, modalità ed effetti per conservare la garanzia
patrimoniale.
Se si è verificato l'inadempimento, l'intero patrimonio del
debitore
costituisce garanzia. Se ci sono più debitori che hanno iniziato
l'esecuzione
forzata e il patrimonio non è sufficiente, ognuno ne può
ottenere una parte in
proporzione all'ammontare del credito.
Ci
sono però alcuni creditori particolari, così detti chirografari.
Legittime
prelazioni:
In
alcuni casi non ha carattere reale, cioè non segue il bene che
viene trasferito.
Il
privilegio trova fondamento nella causa del creditore ed è
previsto dalla legge.
Art.
2745 c.c. " Il privilegio è accordato dalla legge in
considerazione della causa del creditore. La costituzione del
privilegio può
tuttavia dalla legge essere subordina alla convezione delle parti,
può anche
essere subordinata a particolari forme di pubblicità".
Distinzione tra privilegi:
Ne
esistono alcuni convenzionali, che nascono per accordo delle
parti; es.: privilegio speciale a favore dell'albergatore sui beni
mobili
situati nell'albergo . Art.2760 c.c.
Il contratto
è un
istituto rilevante che trova il suo ambito di applicazione principale
nel
diritto privato, ma che è applicabile anche in altre materie.
Il contratto
è una
delle fonti di obbligazione.
L’art.
1321 c.c. dice
che il contratto è quell’accordo tra le parti …
È una
fonte di
obbligazione dal quale possono derivare sia effetti obbligatori che
effetti
reali con effetto circolatorio dei beni.
La permuta, ad
esempio
è un contratto di scambio di diritti reali. Da contratto
può nascere un diritto
di usufrutto, ma anche una servitù.
Anche quando
il
contratto ha effetti reali esso ha comunque sempre carattere
obbligatorio.
Il contratto
è lo
strumento più diffuso per esplicare il principio ed il potere
dell’autonomia
privata.
Riconoscimenti
dell’autonomia privata si trovano già nella costituzione,
contenuti nel
principio di iniziativa economica, art. 42.
La categoria
negoziale
privata è la più ampia espressione di autonomia
contrattuale.
Tutte queste
regole
trovano anche accesso nel diritto pubblico, dal momento che anche gli
enti
pubblici possono agire con strumenti di diritto privato. Questi,
pertanto, sono
considerati strumenti di diritto comune.
Il principio
di
autonomia privata esprime il potere che l’ordinamento riconosce
ai privati di
autoregolare i propri interessi.
Le regole
possono
essere emanate da un soggetto diverso da quello interessato, ed allora
saranno
dette eteronome, come ad esempio quelle del codice sul diritto di
famiglia,
emanate dallo Stato per curare gli interessi delle persone.
Anche un
giudice, con
una sentenza, può intervenire a regolare i rapporti di altre
persone.
L’autonomia
privata si
classifica in contrattuale e negoziale. Queste due classificazioni sono
legate
fra loro nel senso che l’autonomia contrattuale è una
specificazione
dell’autonomia negoziale.
Nel codice
civile,
l’espressione “autonomia negoziale” non
c’è, è un’elaborazione dottrinale,
mentre è citata l’autonomia privata, come espressione di
libertà del
matrimonio, o del testamento, ecc.
L’autonomia
negoziale è
il termine in cui la dottrina racchiude tutte le autonomie private che
il
codice attribuisce ai soggetti in vari istituti. Essendo la dottrina
soggetta
alle correnti di pensiero, non tutti ammettono l’esistenza della
categoria
generale dei negozi giuridici.
Il principio
dell’autonomia privata va ricondotto allo strumento del
contratto, il quale può
essere plurilaterale ed avere anche carattere patrimoniale.
Ad esempio, il
contratto di società è plurilaterale (anche se oggi
esiste anche la società
unipersonale, che è però una contraddizione in soli
termini).
Il testamento
invece,
che contratto non è, è un atto unilaterale e può
avere natura patrimoniale o
meno.
In definitiva
si può
parlare di autonomia privata generale, di autonomia contrattuale e di
autonomia
negoziale.
L’art.
1322 dice che le
parti possono liberamente determinare il contenuto del contratto, nel
rispetto
dell’ordinamento.
Il contratto
ha forza
di legge tra le parti; questa è la tutela dell’autonomia
privata.
Le parti sono
libere di
scegliere il contratto più idoneo tra quelli tipici (o
nominati), ma anche
formulare un contratto atipico (innominati) che sono pur sempre
genericamente
dalla legge. I contratti non specificamente previsti dalla legge
devono, però,
perseguire fini meritevoli di tutela (13222) da parte
dell’ordinamento.
Il contratto
di
leasing, ad esempio, o quello di locazione finanziaria, sono contratti
atipici,
cioè non sono regolati dalla legge, ma trovano ugualmente
accoglimento perché
assolvono a fini utili che non contrastano con l’ordinamento.
Il leasing
finanziario
è una forma alternativa di finanziamento che ha, in certi casi,
superato le potenzialità
del contratto di mutuo. Nonostante oggi il leasing sia contemplato da
certe
norme, in materia fiscale o di incentivazione varia, non è mai
stato
disciplinato come istituto, che lo definisca come funzione e struttura.
Ogni contratto
ha una
propria causa e una propria funzione che lo distingue dagli altri
contratti.
È
proprio la causa che
permette la distinzione di n contratto atipico da un altro; in base
alla causa
si può stabilire se quel contratto persegue fini meritevoli di
tutela da parte
dell’ordinamento.
Le prime
sentenze sul
contratto di leasing lo considerarono nullo perché non ne fu
ravvisata la
causa.
L’autonomia
privata
trova esplicazione già nella decisione e determinazione a fare
un contratto,
con la libertà di applicare il tipo più idoneo ai propri
fini.
Alla stipula
del
contratto serve, poi, il consenso, oppure la convergenza degli
interessi, come
nel caso del contratto di società. I soggetti che pongono in
essere un
contratto cercano sempre di ottenere il soddisfacimento di un proprio
interesse, che può essere comune ad altri nel caso della
società.
Le parti
possono anche
scegliere le forme del contratto (libertà di forma del
contratto: scritta,
verbale, ecc.), fatte salve le norme che prevedono una particolare
forma per
certi tipi di contratto, come, ad esempio la forma scritta per la
compravendita
o per la traslazione di diritti reali. Ad esempi per le donazioni
è previsto
l’atto pubblico, alla presenza di due testimoni (atto pubblico
solenne). A
volte una norma può richiedere una forma specifica per
garantirne la prova (ad
probationem), come, ad esempio, nei contratti di assicurazione, per
poter
dirimere le controversie che potrebbero sorgere sull’applicazione
delle
clausole che il contratto contiene.
Un altro
contratto che
è previsto nella forma scritta è quello di transazione,
col quale si previene o
si risolve una lite in modo extragiudiziale.
Il principio
generale è
quello della libertà di forma, con specificazione di quei casi
previsti dalla
legge, nelle forme da essa stabilite.
È
espressione
dell’autonomia anche la libertà di scelta del contraente,
anche se pure in
questo caso ci sono limitazioni. Esistono casi in cui
l’ordinamento non lo
permette, ad esempio nel sistema delle locazioni urbane, o nella
vendita di
fondi agrari (prelazione del vicino coltivatore). Sono comunque regole
definite
da leggi speciali, ma pur sempre sulla scia di principi costituzionali.
A volte
esistono
imposizioni più forti, come l’obbligo a contrarre, ad
esempio nei confronti di
soggetti che operano in regime di monopolio. In questo caso non solo
non si
sceglie il contraente, ma si deve contrarre obbligatoriamente con
chiunque lo
chieda (2597).
Esistono poi
delle
limitazioni dettate dai criteri di protezione di determinate categorie
di
persone, o con riferimento alle modalità con cui certe
attività economiche
devono essere condotte.
L’art.
41 della
costituzione è la norma destinata a impostare la regolazione dei
rapporti
economici non senza essere subordinati ad altri valori costituzionali.
A partire
dagli anni
60, l’ordinamento, in applicazione della costituzione, ha emanato
norme
speciali che hanno limitato la libertà contrattuale, ad esempio
del lavoro
subordinato, per tutelare le categorie più deboli. Questo tipo
di leggi sono
prevalenti rispetto al codice civile che è comunque una legge
pre
costituzionale.
Il principio
costituzionale della libertà contrattuale passa in secondo piano
rispetto al
principio di uguaglianza (art. 32 cost.), infatti, quando una delle
parti si
trova in stato di inferiorità, non avrebbe la reale
possibilità di contrattare
liberamente, quindi, in tal caso, la libertà agirebbe a favore
esclusivo di una
sola delle parti, la più forte.
Altri
interventi si
sono avuti nel settore delle locazioni di immobili urbani e per i
contratti
agrari.
Recentemente
sono
intervenute normative a tutela dei consumatori, con conseguente
compressione
dell’autonomia contrattuale, per riequilibrare la posizione di
debolezza in cui
viene a trovarsi il consumatore nei confronti di produttori e
professionisti.
Quello di
applicazione
dell’articolo 3 della costituzione è un processo che
è stato anche sollecitato
dalle norme a favore del consumatore contenute nel trattato europeo, e
dalle
direttive comunitarie come quella sulla pubblicità ingannevole,
o quella sulla
tutela del consumatore per i contratti con i professionisti.
Ne sono un
esempio le
modifiche apportate al codice con l’inserimento dell’art.
1469 bis e seguenti
in materia di rapporti tra consumatori e professionisti, secondo i
quali le clausole
vessatorie (che ledono una parte ingiustamente) sono considerate nulle,
quindi
disapplicabili nel contesto del contratto.
Altre
limitazioni
derivano dal cosiddetto ordine pubblico di struttura economica del
Paese, che
limitano la libertà contrattuale a riguardo della
regolamentazione delle
attività economiche.
Anche qui ci
sono molte
norme a riguardo, come quelle sulla libera concorrenza (contenute nel
trattato
U.E.) che vietano gli accordi tra imprese volti a falsare le condizioni
di
mercato e l’equilibrio della domanda e dell’offerta. La
libera concorrenza va
in favore del consumatore, ma anche dell’impresa.
Anche
l’ordinamento
italiano ha emanato al riguardo varie norme, a partire dalla L. 287/90
(libera
concorrenza e istituzione del garante per l’editoria ed il
mercato), che per la
prima volta ha disciplinato la materia.
Ci sono poi
delle norme
che regolano la circolazione dei beni.
Nell’autonomia
privata,
e specialmente in quella contrattuale, accanto al potere di
autoregolamentarsi
che hanno i soggetti singolarmente rispetto ai rapporti,
c’è anche l’autonomia
privata collettiva, cioè il potere di autoregolamentarsi
riconosciuto anche
alle organizzazioni sociali, come i sindacati. In questo caso
l’autonomia
contrattuale è esercitata collettivamente dai soggetti
rappresentativi, e va
sotto il nome di autonomia collettiva.
Ultimamente ha
trovato
anche affermazione l’autonomia privata assistita, la quale
richiede che il
potere di autoregolamentazione sia valido solo se espletato in presenza
dei
rappresentanti di categoria. Oggi è presente solo in materia di
contratti
agrari di concessione.
In questa
materia ci
sono delle norme imperative ed inderogabili. L’istituto
dell’autonomia
contrattuale assistita bilancia le necessità sociali e quelle
private. Qui il
legislatore dà fiducia non al singolo, ma al suo rappresentante
di settore il
quale contratterà per suo conto.
L’autonomia
assistita
non è comunque da confondere con l’autonomia collettiva.
La prima riconoscere
un’autonomia ad assistere.
Art. 1321:
definizione
di contratto.
Art. 1322:
libertà di
scelta del contenuto e del tipo di contratto
Art. 1323:
applicabilità sia ai contratti tipici che a quelli atipici delle
norme per i
contratti. Il contratto atipico deve essere conforme a quanto sancito
dalle regole
generali per i contratti, le quali trovano applicazione anche nei
negozi
unilaterali.
Art. 1324: le
norme
generali sui contratti si applicano anche agli atti unilaterali tra
vivi aventi
contenuto patrimoniale. Le manifestazioni di volontà inter vivos
dell’agente
possono essere anche unilaterali; ne sono esempi: l’atto
costitutivo di
fondazione, la procura, la rinuncia al mandato, le promesse unilaterali
(1987 e
seguenti), ogni forma di rinuncia ad un diritto. Al testamento, che
è un atto
mortis causa, non sono applicabile queste norme, appunto perché
non sono tra
vivi.
Valgono, per
quei casi,
ad esempio, le norme sui vizi di volontà (che deve essere
manifestata senza
influenza di altri con dolo violenza; alcuni vizi possono portare
all’annullamento, come l’errore, ma questo deve essere
riconosciuto dall’altra
parte come tale, quindi non è applicabile nei negozi unilaterali
tra i vivi).
In definitiva,
non
tutti i negozi o contratti sono disciplinati dalle stesse regole, ma
solo da
quelle applicabili.
Contratti a
titolo
oneroso e a titolo gratuito. Quelli onerosi hanno il sacrificio di una
parte
con il corrispettivo di un’altra. A titolo gratuito non ci sono
corrispettivi
(es. donazione). Questa distinzione ha rilevanza nei riguardi della
diversa
valutazione della libertà contrattuale che fa
l’ordinamento. In quelli gratuiti
c’è meno vigore nella valutazione della
responsabilità, mentre è più severa nei
rapporti a corrispettivi patrimoniali. Ne è un esempio
l’art. 1768, riguardo al
deposito gratuito, in cui la responsabilità per il perimento
della cosa è meno
vigorosa di quella per un deposito a titolo oneroso.
Contratti
unilaterali, bilaterali e plurilaterali.
Nei contratti
unilaterali c’è la presenza di una sola prestazione.
È il caso della donazione,
o, per es., del deposito gratuito, o anche della fideiussione (garanzia
personale) oppure il comodato. Nei contratti bilaterali ci sono invece
due
prestazioni, e in quelli plurilaterali ce ne sono di più, per i
quali si dice
che sono a struttura aperta.
Contratti
consensuali e reali.
Ci
sono contratti che si differenziano per il modo di
perfezionarsi. La maggior parte dei contratti ha natura consensuale,
cioè si
perfezionano con la manifestazione del consenso. Ci sono poi i
contratti reali,
che invece, per essere perfezionati, necessitano del requisito della
consegna
della cosa oggetto del contratto. Il comodato, per esempio, è un
contratto
reale, perché prevede la consegna di una cosa che il comodante
concede al comodatario
per farne un uso consono alla sua destinazione a condizione che si
assuma le
spese di esercizio e manutenzione. Lo sono anche il mutuo e il pegno.
Contratti
sinallagmatici e non.
Sinallagmatici
sono
quelli in cui ad una prestazione deve corrispondere una contro
prestazione, le
quali sono tra loro vincolate. Tale vincolo sinallagmatico esiste sia
al
momento della stipulazione (sinallagma genetico) che durante la sua
esecuzione
(sinallagma funzionale). Quando sorge il contratto, il vincolo
sinallagmatico
fa sì che, se la prestazione non avviene, venga meno anche la
contro
prestazione (es. la compravendita). L’art. 1460, per i casi di
scioglimento del
contratto, menziona anche il vincolo sinallagmatico. Tra i casi di
scioglimento
c’è anche la risoluzione. Un’altra ipotesi di
risoluzione del contratto, oltre
a quella per inadempimento, c’è quella per
impossibilità di adempimento della
prestazione.
Contratti
associativi e di scambio.
Altra
classificazione
di contratti è tra contratti associativi e di scambio. Quelli
associativi non
hanno interessi contrapposti, anzi hanno lo stesso scopo. Quelli di
scambio
hanno invece rispettivamente interessi contrapposti, ad esempio in una
compravendita, uno di acquistare e l’altro di vendere,
cioè il primo vuole la disponibilità
di un bene e l’altro vuole realizzare il migliore corrispettivo
possibile.
Contratti
commutativi e aleatori.
I contratti
commutativi le prestazioni sono certe
al momento della formazione del contratto, mentre in quelli aleatori
almeno una
prestazione non è certa, nel senso che è soggetta a
determinati rischi o
possibilità di realizzarsi o meno (es. contratto di
assicurazione, oppure un
contratto che preveda una rendita vitalizia, come una pensione
integrativa). Il
rischio che una prestazione diventi impossibile dopo la stipulazione
del
contratto esiste anche nei contratti commutativi, ma in quelli aleatori
è
palese nel contratto stesso l’assunzione di un rischio
particolarmente
verificabile.
L’art.
1321 si occupa della
definizione del contratto come accordo tra due o più parti per
estinguere,
costituire o modificare un rapporto patrimoniale. Il titolo seguente
del codice
si occupa dei requisiti del contratto, cioè degli elementi che
devono essere
presenti perché lo si possa dire perfetto, che non sono altro
che gli elementi
del negozio giuridico in generale. Ci sono elementi comuni a tutti i
negozi,
quindi anche ai contratti, e che hanno natura essenziale, ai quali si
aggiungono di volta in volta requisiti particolari che permettono la
distinzione tra le varie forme di negozio.
L’art.
1323 elenca i
requisiti:
Accordo
delle parti.
Per il
contratto
l’accordo corrisponde alla volontà delle parti (inteso
anche per i contratti
unilaterali, con la specificazione che la donazione, per esempio,
richiede la
volontà del donante, ma anche la volontà del beneficiario
di accettare, anche
se la relativa dichiarazione viene considerato un atto distinto dalla
donazione
in se’). Il codice parla di accordo tra le parti, intendendo per
parti anche
una pluralità di soggetti. La parte fa riferimento più
all’interesse, cioè alla
posizione del soggetto, che al soggetto stesso. La volontà,
è uno degli
elementi essenziali degli atti o negozi giuridici in generale. La
volontà deve
essere, però, manifestata all’eterno della persona per
poter essere presa in
considerazione; deve essere riconoscibile dai terzi. La manifestazione
può
comunque essere espressa, o tacita; recettizia o irrecettizia.
Può essere
espressa con segni comunicativi (parole verbali o scritte, cenni o
gesti fatti
ad esempio alle aste, ecc.). È tacita se non vengono fatti segni
comunicativi,
ma si assume un atteggiamento tale da trasmettere comunque
all’esterno una
significativa manifestazione di pensiero. È cosa diversa il
silenzio. Tacere
senza dare nemmeno l’impressione di avere assunto una decisione
mediante un
comportamento concludente, può avere effetti solo se è
espressamente previsto,
come nel caso della clausola del “silenzio assenso” o
“silenzio rigetto”. La
manifestazione tacita della volontà essere configurata come un
comportamento
concludente chiaramente ed inequivocabilmente manifestativa di una
volontà
precisa, non compatibile con una volontà diversa nel contenuto.
Ad esempio, se
un creditore restituisce il documento titolo del debito, è
chiara la volontà di
porre in atto una remissione del debito, oppure, quando il chiamato a
succede
paga con i propri beni i debiti del defunto, appare chiara la
volontà di
accettare l’eredità.
Differenze
tra dichiarazioni di volontà recettizie e non
recettizie.
Sono
recettizie le
manifestazioni di volontà che producono subito degli effetti.
Nei contratti le
dichiarazioni devono essere necessariamente recettizie. Per latri
negozi
possono anche essere non recettizie, come può essere
l’accettazione
dell’eredità. Se la volontà delle parti pone in
essere un rapporto a contenuto
patrimoniale, si è in presenza di un contratto, altrimenti (es.
matrimonio)
sarà un altro genere di negozio giuridico. Il matrimonio,
infatti, è un accordo
diretto a realizzare la convivenza e l’assistenza reciproca,
quindi secondo il
codice non può essere un contratto, perché la causa del
matrimonio non è certo
di natura patrimoniale, anche se vi sono inclusi aspetti patrimoniali
di
secondo piano, sui quali peraltro i coniugi devono esprimere un
consenso al
regime patrimoniale in cui vogliono contrarre matrimonio, in comunione
o in
separazione dei beni. Quando si fa riferimento al contratto, ci si
può riferire
sia all’atto che al rapporto.
La
causa.
La causa di un
negozio,
ed in particolare di un contratto, è la funzione o
l’obbiettivo (in astratto)
che persegue. È la ragione economico - sociale cui mira. Il
motivo, cioè
l’obbiettivo concreto che si propone la parte, non ha rilevanza
giuridica. Se
manca la causa c’è nullità (o inesistenza)
dell’atto, in quanto è elemento
essenziale, senza il quale il contratto o negozio non può dirsi
neanche
esistente. È nullo anche il contratto fondato su una causa
illecita. La causa
deve essere meritevole di tutela, oltre che lecita, cioè non
contraria a norme
imperative dello Stato o all’ordine pubblico ed il buon costume.
(1343) una
causa illecita potrebbe essere quella del contratto col quale un
soggetto si
impegna a pagare una somma ad un pubblico ufficiale. Parificata alla
causa
illecita è la causa del negozio in frode alla legge (1344). In
questo caso il
contratto è conforme alla legge, ma con questo le parti si
propongono di
ottenere un risultato che non è consentito dalla legge, mediante
un raggiro. Ad
esempio con riferimento ad un contratto in cui una delle parti è
più debole. Ad
esempio la vendita con contratto regolare di un fondo a Tizio e non a
Caio, che
è confinante e coltivatore diretto, il quale ha diritto di
prelazione. Per i
contratti tipici andrà verificata la corrispondenza della causa
a quella
stabilita dalla legge per quel contratto tipico. Sulla causa si fonda
la
distinzione tra i vari contratti (compravendita da locazione). Nel
contratto
unilaterale della donazione, per esempio, la causa è
l’arricchimento di una
parte senza vantaggio per l’altra. L’importante quindi
è andare a vedere se ciò
che le parti hanno posto in essere è ciò che
l’ordinamento riconosce come causa
per quel tipo di contratto. Per esempio se ci fosse una rendita senza
corrispettivo, non sarebbe un contratto di compravendita perché
mancherebbe la
causa di quel contratto, che notoriamente è la consegna di una
cosa contro il
prezzo.
L'oggetto.
L'oggetto
è un requisito essenziale del contratto, e consiste o
nel diritto o nella cosa che è, appunto, oggetto della
prestazione.
L'oggetto
è libero, ma dev'essere:
Possibile,
perché, ad esempio, non si può, appunto, vendere la luna,
perché il
trasferimento non potrà mai avvenire; quindi non si concepisce
un contratto in
cui il fine, a priori, si sa che non sarà raggiunto.
L'impossibilità può essere
di fatto, come nel caso della vendita della luna, oppure di diritto, ad
esempio, non si può vendere un bene demaniale, in quanto
è un bene
indisponibile (extra commercium) per definizione. Lecito, ossia non contrario a norme
imperative, all'ordine pubblico o al buon costume. Determinato o
determinabile,
perché il contratto necessita di certezze, onde evitare errori
nella formazione
della volontà. Questo significa che, per esempio, in una
compravendita il bene
deve essere indicato con certezza, nel senso che non posso vendere un
mio
fondo, ma il fondo "corneliano". L'oggetto può essere
determinato
anche da un terzo (1349), oppure cosa futura (1348), cioè che
deve ancora
venire ad esistenza, salvi i limiti di legge (es. è nulla la
donazione di cosa
futura - 771).
La
forma.
Un
altro elemento essenziale del contratto è la forma. Secondo il
principio dell'autonomia contrattuale, la forma è libera salvo i
casi stabiliti
dalla legge. Quando la legge richiede una determinata forma per un
contratto,
bisogna capire a che titolo, se ad
substantiam, cioè quando è richiesta a pena di
nullità, o se è richiesta ad probationem,
cioè quando è richiesta
per poter tutelare le parti vicendevolmente in un'eventuale
controversia sui
termini e le clausole del contratto. La forma richiesta può
anche essere di
atto pubblico (2699) (o atto solenne), per richiamare l'attenzione
degli
stipulanti sull'importanza dell'atto che stanno per concludere.
L'articolo 1350
elenca i casi in cui la forma scritta o dell'atto pubblico è
richiesta a pena
di nullità.
L'atto
pubblico, cioè quella scrittura fatta innanzi ad un notaio
o altro pubblico ufficiale (L. 15/68) con o senza i due testimoni (es.
non sono
richiesti nella costituzione di società per la quale è
richiesta la forma
pubblica solo se ci sono conferimenti di immobili). Altri casi sono
introdotti
da leggi speciali, come quelle per la tutela dei consumatori. Spesso le
parti
scelgono una forma specifica di loro iniziativa, ma solo ad
probationem. Attualmente, il problema dei contratti telematici,
o a distanza, è stato appena disciplinato dal d. lgs. 185/99. Ma
il problema
della firma digitale, prevista dal D.P.R. 513/97, un regolamento
governativo
delegato con
Il
consenso si intende realizzato (1396) quando vengono a
incontrarsi le volontà delle parti. Nella maggior parte dei
casi, la fase della
conclusione è quella preceduta dalle trattative. Soltanto quando
proposta e
accettazione si incontrano il contratto può dirsi concluso.
Proposta e accettazione
possono essere parti di un unico contesto (conclusione simultanea del
contratto), oppure in fasi successive. per il codice si ritiene
validamente
concluso il contratto nel momento in cui l'accettazione (nei termini
della
proposta) giunge al proponente (1335). L'indirizzo del destinatario
può non
coincidere ne' con il domicilio, ne' con la dimora e ne' con la
residenza, ma
potrebbe essere, in astratto, un luogo definito dalle parti. Ciò
si deduce,
come presunzione relativa, dalla possibilità lasciata al
ricevente di eludere
la dichiarazione di volontà ricevuta, se dimostra di non poter
essere stato a
conoscenza della stessa. Proposta e accettazione possono comunque anche
essere
revocate, fino al momento in cui l'altra parte non ritiene ormai
concluso il
contratto: per l'accettazione, prima che si sia data esecuzione al
contratto da
parte dell'accettante; per la proposta (ancorché questa preveda
prestazioni a
carico solo del proponente, per cui non è più revocabile
dal momento in cui è
giunta al destinatario - 1333), la revoca può avere effetto solo
se giunge
prima della proposta (1328). Il proponente può dare esecuzione
prima
dell'accettazione, ma deve darne previa comunicazione, pena il
risarcimento dei
danni (1327) (esecuzione tacita). Quando il proponente ha stabilito un
periodo
di validità dell'offerta (1329), la revoca non è efficace
in quel lasso di
tempo. L'accettazione che giungesse dopo quel termine non è
efficace, salva la
ratifica del proponente inviata per iscritto. Un'applicazione della
proposta
irrevocabile (1329) è l'opzione
(1331), la quale consiste nell'obbligo del proponente di mantenere
ferma
l'offerta, mentre l'altra parte è libera di accettare o meno,
nell'ambito di un
termine. In questo caso, infatti, la proposta si considera
irrevocabile, ma si differenzia dalla fattispecie
della proposta irrevocabile, perché nell'opzione ha natura
contrattuale;
peraltro, in quanto diritto di natura contrattuale, l'opzione
può essere
ceduta, mentre la proposta che sia irrevocabile non può essere
lasciata a terzi
se non è appunto previsto dal proponente (1332). La proposta
può essere aperta
all'adesione di altri, o anche aperta a tutti (offerta al pubblico -
1336).
L'offerta è considerata valida come proposta se comprende tutti
gli elementi
necessari a formare il corrispondente contratto. Le offerte al pubblico
sono,
ad esempio, le vetrine di un negozio che espongono della merce ed i
relativi
prezzi, in mancanza dei quali si ritiene essere un invito a proporre.
Chi fa
l'invito a proporre si riserva di scegliere il tipo di cliente, come,
ad
esempio, il ristorante, che può rifiutarsi di servire il cliente
che vuole
consumare solo alcolici, senza ordinare il pasto; in realtà , il
menù del
ristorante, malgrado riporti i prezzi dei piatti e dei vini, è
solo un invito a
proporre. Nella fase precedente la conclusione del contratto avvengono
le
trattative, nelle quali le parti devono tenere un comportamento di
buona fede
(1137). Questa responsabilità precontrattuale si riferisce
principalmente al
fatto che non si possono interrompere le trattative senza un plausibile
motivo,
senza rispondere dei danni eventualmente arrecati, c.d. danni negativi,
di
natura extra contrattuale, in quanto appunto, precedono il contratto.
Spessissimo
la conclusione del contratto è preceduta dalle
trattative. Anche in questa fase ci può essere
responsabilità, derivante
dall'obbligo delle parti di comportarsi in buona fede. Si parla in
questo caso
di responsabilità pre contrattuale o extra contrattuale.
Esistono alcuni
contratti, detti standardizzati, in
cui non esiste la fase delle trattative, dato che l'offerta è
fissa. Lo sono ad
esempio i contratti di massa di fornitura di beni e servizi, che
talvolta si
concludono quasi inconsapevolmente, come quando si acquista un
biglietto della
metro o del bus (contratti di trasporto), ma che possono essere anche
scritti,
come quello della fornitura di acqua, gas, ecc., ma anche contratti
come quelli
turistici, d'assicurazione, bancari, ecc.. Le clausole dei contratti
standardizzati sono già definite dal proponente e non sono
oggetto di
trattativa, per motivi di equità tra i diversi utenti (la parte
accettante di
un'offerta al pubblico di un servizio pubblico, anche se reso da
privati, dato
a tutti alle stesse condizioni, è un particolare tipo di
contraente).
Le
clausole del contratto hanno valore con la parte accettante se
questa ne era a conoscenza al momento della sottoscrizione o se ne
sarebbe
stato a conoscenza se avesse usato l'ordinaria diligenza.
Le clausole vessatorie, cioè quelle poste dal proponente a suo
vantaggio, senza una contropartita, sono valide solo se specificamente
accettate per iscritto (1341). Se il sottoscrittore aggiunge clausole
scritte a
mano su un modulo predisposto dall'offerente, e queste sono in
contrasto con
quelle stampate, le prime prevalgono sulle seconde (1342). Si pensi ad
una
fideiussione bancaria in cui sia precisato che il fideiussore è
solidale, ma
prima della firma, a mano, il sottoscrittore inserisce una clausola di
beneficio di escussione a suo favore, la banca non potrà
rivalersi sul
fideiussore finchè non avrà prima agito nei confronti del
debitore originario.
Esistono alcune leggi speciali che riservano una tutela particolare ai
consumatori, sulla scia delle direttive comunitarie(direttiva 97/7/CE)
e sul
trattato istitutivo della comunità europea (art. 153), e sono:
La
disciplina introdotta nel codice dalla legge 52/96 per la
tutela del consumatore dal professionista (dove per professionista si
intende
un'azienda pubblica o privata o un libero imprenditore) è di
tipo generale, ma
è speciale nei confronti degli rt. 1341 e 1342 che si applicano
a tutti i
contratti standardizzati e ai rapporti tra professionisti e
professionisti, e
che trattano la stessa materia in termini più generali e meno
tutelativi della
posizione dell'accettante; il consumatore o utente è infatti un
accettante
particolare, cioè non utilizza il contratto per fini lucrativi
professionali.
Negli art. 1341 e 1342 si tratta di contratti, come già detto,
predisposti
unilateralmente dalle aziende e destinati agli utenti. Sarebbe
impensabile che
un'azienda di fornitura dell'acqua, ed esempio, si mettesse a trattare
con ogni
utente, oltre all'esigenza di mantenere condizioni contrattuali uguali
per
tutti. Gli articoli dal 1469 bis al 1469 sexies trattano le clausole
vessatorie, il loro accertamento e la loro eventuale inefficacia, ed
infine,
l'azione inibitoria esperibile dall'associazione consumatori con
ricorso al
giudice, che mira ad eliminare dal contratto tipo utilizzato
dall'azienda
fornitrice del servizio una clausola ingiusta. In ogni caso, se una
clausola è
di dubbia interpretazione, si intende contraria agli interessi di chi
l'ha
formulata (1370). Questa disciplina tende a riequilibrare le posizioni
di
proponente e accettante, laddove il primo gode del vantaggio di poter
influenzare il mercato e fare offerte a condizioni inique.
Questi
sono
comunque tutti contratti consensuali.
Nel
contratto di trasporto aereo le clausole vessatorie sono
inserite nel biglietto, ma ciò rappresenta un'anomalia, in
quanto, come si sa
(13412), queste vanno sottoscritte specificamente. Nei formulari che
elencano
le clausole, quelle vessatorie vanno riepilogate alla fine e
sottoscritte in
calce. Questo della firma è un sistema di controllo solo formale
delle clausole
vessatorie, mentre le norme comunitarie hanno introdotto un controllo
anche
sostanziale con l'elencazione di casi concreti e la definizione di
criteri di
valutazione ed interpretazione delle clausole.
Le
clausole vessatorie, quando non sono efficaci (perché poste
senza tenere conto dei limiti imposti dalla legge), non fanno cadere
l'intero
contratto, ma solo restano inefficaci quelle. Possono essere dichiarate
inefficaci d'ufficio da parte del giudice (mentre di norma le clausole
di un
contratto vanno fatte valere su istanza di parte). Esiste una
distinzione tra
clausole vessatorie sospette, quelle cioè che si presumono tali
fino a prova
contraria, e clausole assolutamente vessatorie, anche se volute da
entrambe le
parti.
Efficacia
del contratto.
Nei
contratti consensuali, quando si è verificato il consenso, il
contratto non può più essere sciolto. Il contratto ha
forza di legge tra le
parti e non può essere sciolto se non per mutuo consenso di chi
l'ha stipulato
(1372), salvi i casi previsti dalla legge, ovverosia, ad esempio,
quando ciò
sia contenuto di una clausola a favore di una delle parti (1373 -
recesso
unilaterale), oppure per rescissione per inadempimento (1453). Il
contratto può
essere sciolto se ne viene chiesto l'annullamento.
Riassumendo,
il contratto può essere sciolto:
Il
contratto concluso vincola le parti alle clausole d'uso e a
quelle imposte dalle norme imperative. È questa la c.d. funzione integrativa operata dal codice nei riguardi del
contratto.
Le clausole d'uso sono inserite d'autorità nel contratto e
prevalgono su quelle
poste dalle parti che fossero eventualmente difformi (1339). Sono tutte
dettate
a tutela della parte più debole, la quale potrebbe essere
disposta ad accettare
condizioni inique che l'ordinamento, e il principio di uguaglianza,
condannano.
Ad esempio la disciplina degli affitti di immobili urbani tutela gli
inquilini,
essendo questa una categoria che si trova a dover soddisfare un bisogno
fondamentale, per cui a volte è disposta ad accettare condizioni
inique pur di
procurarsi un alloggio. Il contratto include anche le clausole d'uso, a
meno
che non siano state volutamente ed espressamente escluse dai contraenti
(1374).
Il
recesso.
È
la facoltà, potestativa, di una delle parti, o anche di
entrambe, di sciogliere il contratto, ed è legittimata dalla
legge in taluni
casi, oppure risulta dallo stesso contratto. Il recesso è
previsto per alcuni
contratti tipici, mentre alcuni tipi di contratto l'escludono. L'art.
1373
detta la regola generale del recesso, ma ci sono alcune
specializzazioni. Ad
esempio in tema di contratto di lavoro subordinato, il recesso è
previsto per
entrambe le parti, ma è più a favore del lavoratore, ed
ha una maggiore
onerosità per il datore. Quest'ultimo, infatti, può
recedere (licenziare) solo
motivatamente, e con giusta causa (non una motivazione qualsiasi). Il
lavoratore, invece, può recedere (dimettersi) a sua discrezione.
Analogo tenore
si ha per i contratti agrari, e anche nelle locazioni in generale, in
cui le
parti non godono di pari condizioni. Il recesso è consensuale
quando sono le
parti a prevederlo, salvo l'eventuale divieto da parte dell'ordinamento.
La
penale.
Le
parti possono definire anche una eventuale caparra
convenzionale, che costituisce il corrispettivo per poter usufruire
della
clausola di scioglimento del contratto, la c.d. caparra
penitenziale,
o più semplicemente possono prevedere una clausola
penale
(1382) da versare invece della prestazione, una sorta di
liquidazione (determinazione in denaro) anticipata del danno.
Quando
la clausola penale non è prevista, il creditore può
chiedere il risarcimento del danno da inadempimento, provando la
consistenza e
la relazione del danno alle responsabilità contrattuali del
debitore. La penale
viene inserita proprio per evitare quest'onere della prova nella
relativa
azione in giudizio. Infatti, quando la clausola è inserita nel
contratto, vi è
la presunzione del danno, per cui è chi
danneggia che deve dimostrare il contrario (13822), e il creditore
può ottenere
la penale. La penale serve quindi a facilitare il risarcimento e
migliorare la
posizione del creditore. Se non si specifica, nella clausola, il
diritto del
creditore al risarcimento dell'eventuale maggior danno, la penale
esaurisce la
controversia nell'importo in cui è stata fissata. Se il danno,
invece, è
inferiore, è ammesso il ricorso del debitore al giudice per la
riduzione della
penale (1384). Il creditore può scegliere se chiedere
l'esecuzione della
prestazione oppure il pagamento della penale, a meno che questa si sia
convenuta anche per il solo ritardo (1383) o per il parziale
adempimento, caso
in cui può cumulare le richieste.
La
caparra.
La
caparra
confirmatoria
è invece
uno strumento di rafforzamento del contratto che rappresenta un
risarcimento
anticipato per responsabilità contrattuale (inadempimento o
ritardo), e
consiste nella consegna, da parte del debitore al creditore, di una
somma di
denaro o di altre cose fungibili che, in caso di inadempimento, possono
essere
fatte proprie dall'avente causa, previo recesso. Il danneggiato
può comunque
scegliere se recedere e trattenere la caparra, oppure se chiedere la
prestazione o la rescissione, nel quali casi potrà chiedere un
risarcimento ad
hoc. Se l'inadempimento è di chi ha ricevuto la caparra, l'altra
parte può
recedere e chiedere la restituzione nel doppio. Quando la prestazione
è
adempiuta regolarmente, la caparra deve essere restituita, ovvero
imputata a
prestazione. È molto frequente nei contratti preliminari (es.
preliminare di
vendita immobiliare) e di compravendita.
(stato di necessità e
stato di bisogno con prezzo > del 50% del
valore reale)
contratto)
(inadempimento, impossibilità
sopravvenuta, eccessiva onerosità
sopravvenuta)
annullabilità
(vizio di volontà)
Inefficacia (stabilita dalla legge o se
accordo
contrario alla legge)
Rescissione.
I
contratti possono essere sciolti solo nei casi previsti dalla
legge con il recesso unilaterale, la rescissione e la risoluzione.
La
rescissione è un mezzo concesso dalla legge determinato da
patologie genetiche, e si può fare solo in casi in cui al
momento della stipula
una delle parti risulta essere stata danneggiata, ad esempio, il
contratto
concluso in condizioni di pericolo (1447). Il pericolo si riferisce
alla
persona, non ai suoi beni. La rescissione del contratto concluso in
stato di
pericolo si verifica, ad esempio, quando una persona salva un'altra da
una
situazione di pericolo solo, ma a patto di un cospicuo compenso. Alla
base di
una rescissione vi è sempre una condizione di squilibrio tra le
parti al
momento della stipula, ed una relativa lesione dei suoi interessi
(1448).
L'azione generale di rescissione, invece di quella dello stato di
pericolo,
prevede uno stato di bisogno, inteso come economico, noto alle parti, a
causa
del quale una parte accetta condizioni inique. L'iniquità
è determinata da uno
svantaggio pari o maggiore al 50% del valore effettivo della
prestazione. Per
esempio, Tizio, che ha bisogno di denaro, per poter essere operato, si
rivolge
a Caio, il quale, per sfruttare la situazione, acquista la casa di
Tizio ad un
prezzo pari alla metà del suo valore commerciale. In questo
caso, dunque, Tizio
potrà rivolgersi al giudice per ottenere la rescissione del
contratto, per
lesione ultra dimidium. Ad ogni modo
il convenuto può chiedere di modificare l'offerta superando
l'iniquità (1450).
I contratti aleatori non possono essere rescissi, perché la loro
causa
contempla il rischio di perdita di una parte a vantaggio dell'altra. In
questi
contratti il rischio va molto oltre la normalità.
La
prescrizione dell'azione è di un anno (1449) dalla conclusione
del contratto. L'eccezione di rescissione non può essere opposta
se l'azione è
prescritta. Se la condizione iniqua implica un reato, la prescrizione
sarà
quella del reato (29473).
Risoluzione.
La
risoluzione del contratto a prestazioni corrispettive può
essere chiesta al giudice per inadempimento della controparte. Si
può richiede
o la prestazione coatta o la risoluzione, in ambo i casi si ha diritto
al
risarcimento. Si può mutare il petitum in giudizio da
prestazione coatta a
risoluzione, ma non viceversa (1453).
La
risoluzione è determinata da patologie funzionali, cioè a
causa
di eventi verificatisi dopo la conclusione del contratto. Il caso
più frequente
è quello di risoluzione per inadempimento, ma la si può
chiedere anche per
impossibilità sopravvenuta di adempiere, e per eccessiva
onerosità sopravvenuta
nell'adempiere.
Esistono
casi speciali di risoluzione, disciplinati da leggi
speciali, come nel caso del contratto di lavoro subordinato, o peri
contratti
di fondi rustici.
Nei
casi di risoluzione per inadempimento si distinguono le
risoluzioni di diritto e quelle del giudice. Nelle prime il contratto
si
scioglie automaticamente, nelle seconde avviene per sentenza
(costitutiva, cioè
gli effetti si producono dal momento della sentenza) del giudice. La
risoluzione
di diritto ha come presupposto l'inadempimento, che deve avere una sua
rilevanza (1455). In caso d'inadempimento, si può chiedere al
giudice
l'esecuzione del contratto, oppure la risoluzione, come meglio si
crede; ma per
ottenere la risoluzione di diritto deve essere stata inclusa una
clausola
risolutiva espressa nel contratto, quindi, verificatosi
l'inadempimento, la
parte lesa comunicherà di volersi avvalere della clausola, ma
solo dopo almeno
3 giorni dalla scadenza del termine previsto dal contratto per
l'adempimento,
perché, anche in assenza della clausola risolutiva espressa, se
il termine è
essenziale (1457), l'inadempiente ha tempo 3 giorni per comunicare che
intende
adempiere, trascorsi i quali il contratto può intendersi
risolto. Se la clausola
non è stata inserita, e il termine non è essenziale, per
dar luogo ad una
risoluzione di diritto, devono verificarsi 3 requisiti:
Per
l'eccessiva onerosità sopravvenuta e impossibilità
sopravvenuta della prestazione, è necessario il requisito della
imprevedibilità
ed eccezionalità degli eventi.
Nullità,
annullamento e inefficacia.
Le
cause di invalidità si dividono in nullità ed
annullabilità.
Può darsi che un contratto (e in generale un negozio) nasca
senza uno degli
elementi essenziali, rendendolo nullo, cioè inesistente di
fronte
dell'ordinamento (la nullità deve e può essere richiesta
da chiunque ne abbia
interesse). Oppure può verificarsi che il contratto nasca in
presenza di un
vizio di uno degli elementi, senza che per questo sia nullo, ma
può essere
annullato su richiesta di una delle parti. Nel primo caso si ha la nullità,
nel secondo la parte interessata usufruirà dell'azione di annullamento.
La
nullità (1418) non fa produrre effetti, e si verifica:
Esistono
altre ipotesi al di fuori di queste, e ipotesi in cui il
contratto non è nullo del tutto, ma solo la parte che, ad
esempio, è contraria
alle norme imperative, una clausola, o un termine. Per esempio, la
locazione
deve avere un termine di almeno 4 anni, e se un contratto prevedesse
una durata
inferiore, tale termine si adeguerebbe alla norma. Questo, però,
a patto che la
clausola non sia essenziale per la volontà delle parti.
Il
negozio nullo può essere convertito in un altro valido con una
novazione, se le condizioni lo consentono. Per la conversione ci deve
essere un
requisito oggettivo, che la forma e la sostanza del contratto possano
confluire
nella forma e sostanza di un diverso contratto, ed un requisito
soggettivo,
rappresentato dalla volontà delle parti a non concludere un
contratto che non
può avere effetti, e che se fossero stati a conoscenza di un
eventuale simile
risultato avrebbero stipulato il contratto che risulterà dalla conversione (es. 2701 conversione di
atto pubblico in scrittura privata, 602 conversione di testamento
segreto in
olografo).
Quando
c'è nullità, il contratto non esiste per l'ordinamento
giuridico, per questo non produce alcun effetto. La nullità non
è prescrivibile
(salvo usucapione di terzi sul bene oggetto), e può essere
dichiarata anche
d'ufficio dal giudice.
L'annullabilità,
invece, è una patologia del contratto che scatta
in presenza di vizi meno gravi. Il negozio annullabile è affetto
da qualche
vizio, ma ciò non è letale per la sua validità,
perciò produce effetti, che
sono validi fino alla richiesta di annullamento da parte
dell'interessato
(1441), il quale, però, può ratificarli o sanarli (con
atto di convalida),
oppure può far decorrere il termine di prescrizione (5 anni -
1442). L'atto di
sanatoria deve citare il contratto e i suoi vizi. Non si prescrive
l'eccezione
di annullamento(1442). Se ad esempio, passano i 5 anni e il contratto
era
viziato, dovrò osservare il contratto comunque, ma se devo
ancora pagare una
parte del prezzo, e per questo vengo citato in giudizio dalla
controparte,
posso eccepire l'annullabilità per vizio, ad esempio, della
volontà.
L'annullabilità
è prevista quando il negozio è posto in essere da un
soggetto incapace di
contrattare (1425) (incapacità legale - cioè maggiore
età). L'annullamento può
essere domandata dall'incapace o dal suo rappresentante. Se per
interdizione
legale, potrà essere chiesto da chiunque ne abbia interesse. Il
negozio è
annullabile a istanza di parte per incapacità naturale (428),
cioè per
incapacità di intendere e di volere, ma il contratto è
annullabile solo se c'è
mala fede della controparte (eccetto la donazione che, invece, è
annullabile
anche senza la mala fede - 775). Il termine di prescrizione decorre dal
momento
in cui l'incapace legale ha compiuto la maggiore età (1442).
L'annullabilità
è proponibile anche per vizi della volontà, ossi a
quando questa si è formata con: errore, violenza o dolo.
Il
termine di prescrizione decorre dal momento in cui fu scoperto
l'errore (1442).
Altre
ipotesi sono contemplate da casi specifici del codice o di leggi
speciali.
Peraltro
si possono verificare casi di contratti che sono validi,
non hanno vizi, eppure non producono effetti. Questo è il caso
dell'inefficacia, che può dipendere dalla
mancanza di un presupposto giuridico che fa si che non si possano
produrre gli
effetti voluti. Per esempio, il testamento, per produrre effetti, deve
verificarsi la morte certa del testatore; se ciò non avviene,
cioè se non si
verifica la condicio iuris, il
testamento non ha efficacia.
L'inefficacia
può dipendere dall'applicazione delle norme sulle
clausole vessatorie (1469 bis e ss.), oppure dal mancato rispetto delle
norme
sulla pubblicità dei contratti sugli immobili, che in tal caso
non sarebbero
opponibili ai terzi.
Inefficacia
in presenza di condizione o termine
(elementi accidentali del contratto).
Esistono
condizioni di fatto che possono impedire l'efficacia del
contratto, e sono le condicio facti,
cioè la condizione sospensiva o risolutiva. Quindi, altro
esempio di negozio
inefficace, è quello sottoposto a condizione, per cui gli
effetti si hanno se
si verifica la condizione (sospensiva), oppure cessano se si verifica
(risolutiva).
La
condizione è un evento futuro e incerto al quale si assoggetta
la produzione degli effetti. Il termine, invece, cui si è fatto
già
riferimento, è un evento futuro e certo.
Esistono
negozi giuridici che non ammettono l'apposizione di
elementi accidentali, come il matrimonio e l'accettazione o la rinuncia
dell'eredità, oppure il riconoscimento di un figlio.
Il
contratto può essere inefficace anche solo rispetto a certi
soggetti. Ad esempio, il debitore, per sottrarre ai creditori i propri
beni, li
vende, facendo venire meno le sue garanzie privilegiate, o la semplice
garanzia
patrimoniale. In tal caso, avendo il debitore, l'intento di danneggiare
il
creditore, quest'ultimo avrà diritto all'azione revocatoria,
che, se accolta,
porterà all'inefficacia del contratto di compravendita nei soli
confronti del
creditore. Per il terzo acquirente, se a titolo oneroso e in buona
fede, il
contratto avrà valore. Mentre se il terzo acquirente era a
conoscenza della garanzia
sul bene, il creditore può agire direttamente e anticipatamente
sulla cosa
senza che il credito sia scaduto.
Responsabilità
civile extracontrattuale
(o Papiniana - 1173).
Le
fonti delle obbligazioni sono, dunque, fondamentalmente, i
contratti e gli atti o fatti illeciti (2043). Per gli atti illeciti si
parla di
responsabilità extracontrattuale, con riferimento ad una
pluralità di atti, tra
i quali si sono aggiunti, ad opera della giurisprudenza della Corte di
cassazione, anche quelli relativi ad interessi legittimi. L'art. 2043
contiene
la fattispecie generale di illecito civile, con obbligo del
risarcimento, che è
un principio giusnaturalistico. Si parla di responsabilità
Aquiliana, perché
era già prevista in una lex Aquilia dei Romani. La fattispecie
generale si
applica dove non esiste una disciplina specifica (2048 e ss. o leggi
speciali).
La sentenza della cassazione fa seguito all'art. 34 della Bassanini 3
del '98,
ed ha una valenza molto ampia.
Art.
2043. Risarcimento
per fatto illecito.
Qualunque fatto doloso, o colposo, che cagiona ad altri un danno
ingiusto, obbliga colui che ha commesso il fatto a risarcire il danno.
Sono
evidenziabili due elementi
costitutivi del fatto illecito:
uno soggettivo,
della consapevolezza (dolo
o colpa) di colui che ha agito;
e uno oggettivo, l'ingiustizia
del danno, ovvero la lesione di un interesse meritevole di
tutela. E sono due elementi essenziali, perché entrambi sono
necessari, ma non
sufficienti. Cioè, chi cagiona un danno ingiusto, ma ne' con
colpa e ne' con
dolo, può essere tenuto al risarcimento. Tra il danno e il
comportamento di chi
ha agito deve esserci il nesso di causalità. La colpa consiste
nell'inosservanza di leggi, regolamenti, ordini dell'autorità,
discipline
varie, con un'azione svolta con negligenza, imprudenza o imperizia, ma
senza il
carattere della volontarietà del danno. Il dolo implica invece
una certa
intenzionalità nel cercare gli effetti che portano al
danneggiamento. A ciò va
aggiunto il criterio di imputabilità
(2046), cioè la capacità
naturale di agire, la capacità di intendere e di volere, a meno
che il suo
stato di assenza non dipenda da causa (es. ubriachezza), appunto
imputabile al
soggetto agente.
L'incapace
legale, invece, risponde del danno causato (es. il
minore d'età). Se il soggetto non era in grado di intendere e di
volere, non
sarà ritenuto responsabile e non dovrà risarcire il
danno. Infatti, nel caso di
danno arrecato da un incapace, il risarcimento è dovuto dai
genitori o dal suo
sorvegliante, se questo non dimostra di non aver potuto impedirlo
(2047), e se
questo non può risarcire, il giudice può stabilire un
indennizzo a carico
dell'incapace. Se un bambino, invece, è capace naturale
(capacità naturale =
capacità di intendere e di volere), risponde lui in prima
persona. È imputabile
solo il soggetto che ha agito con la capacità naturale.
Questi
sono i presupposti su cui si basa la responsabilità
extracontrattuale. La fattispecie del 2043 è talmente generica
da avere un ambito
di applicazione molto ampio. La responsabilità civile è
una forma atipica,
mentre tipica è quella penale. Lo stesso codice, però,
subito dopo descrive
casi specifici, e poi lo fanno altre leggi speciali. In alcuni casi il
legislatore prescinde dalla colpa o dal dolo, lasciando irresponsabili
alcuni
soggetti. Bisogna inoltre sottolineare come colpa o dolo non sono
imputabili ai
soggetti che danno una giustificazione in base agli articoli 2044 e
2045:
legittima difesa e stato di necessità. Per il secondo è
previsto solo un
indennizzo stabilito dal giudice in via equitativa. Per il diritto
penale, la
legittima difesa è la reazione proporzionale all'offesa,
perciò l'azione
commessa per opporre una resistenza, non un'offesa ulteriore. Lo stato
di
necessità, ad esempio, si configura
quando un automobilista si scontra contro un veicolo in
sosta
per
evitare di investire un ciclista ubriaco che gli ha tagliato la strada;
l'automobilista non dovrà pagare il risarcimento del danno, ma
semmai un
indennizzo. Il risarcimento toccherà al ciclista, nella
differenza tra
indennizzo e danno.
La
responsabilità extracontrattuale esula da uno specifico obbligo
da rispettare, come nella responsabilità contrattuale, ma
piuttosto un generico
comportamento riguardoso dei danni che si possono arrecare al prossimo.
Una
responsabilità extra contrattuale può trasformarsi in
contrattuale se si
verifica in violazione di un ordine o di un obbligo preciso
preesistente.
Questo può verificarsi, per esempio, in un incidente stradale,
il soggetto
danneggiato chiede il risarcimento; se il danneggiante non adempie, il
danneggiato si rivolgerà al giudice, il quale emanerà una
sentenza di condanna
al pagamento, cioè un ordine, ossia un obbligo preciso. Se dopo
la sentenza il
convenuto continua a non voler pagare, sarà soggetto a
responsabilità
contrattuale. Gli effetti si riferiscono soprattutto alla prescrizione.
Il
diritto di credito derivante da contratto, si prescrive in 10 anni,
mentre
quello derivante da responsabilità extracontrattuale, o meglio
la relativa
azione di risarcimento, si prescrive in 5 anni, che si riducono a 2
anni per
gli incidenti stradali tra veicoli. L'ipotesi di responsabilità
pre
contrattuale è una variazione di quella extracontrattuale,
quindi le si
applicano le norme del 2043 e seguenti.
Nella
responsabilità extracontrattuale, l'onere della prova, in via
generale, è a
carico del danneggiato, che deve provare sia l'esistenza dell'elemento
oggettivo, il danno ingiusto (nel suo ammontare), che quello soggettivo
della
colpa (o il dolo). Il danno dev'essere ingiusto, quindi, per esempio,
è
ingiusto il danno apportato ad un fondo per l'aver costruito un
edificio senza
il rispetto delle distanze imposte dal piano regolatore (872). Il danno
non
sarà ingiusto se il vicino costruisce nel rispetto delle norme
del piano
regolatore, anche se ostruisce la vista panoramica. Il terzo elemento
è il
nesso di causalità, cioè il rapporto di
dipendenza del danno dal
comportamento del danneggiante. Questo nesso di causalità esiste
quando esiste
una causalità adeguata, cioè, le conseguenze imputate al
danneggiante devono
essere quelle che in un determinato momento storico potevano essere
determinate
da quel comportamento. L'intervenire di eventi eccezionali vanno invece
ad
intervenire sul nesso casualità, cioè la
fatalità dell'insorgere del
danno a causa di eventi eccezionali che da soli avrebbero causato il
danno,
mentre nel nesso di causalità il comportamento dell'agente
è causa del danno.
Ad esempio, le complicazioni delle condizioni del ferito di un
incidente
stradale non sono di tipo eccezionale. Se invece il ferito subisce un
aggravamento per causa di un ulteriore incidente avvenuto durante il
trasporto
in ambulanza, allora si configura un caso di evento eccezionale, e, in
quanto
tale, non imputabile al responsabile del sinistro precedente, anche se
a causa
di quello il ferito si trovava a bordo del veicolo di soccorso. Quindi la responsabilità
extracontrattuale si relaziona ai
soli danni immediati e diretti causati da qualcuno. Questo è il
senso del terzo
elemento dell'atto illecito: l'imputabilità.
Riassumendo,
la responsabilità extracontrattuale dipende da tre
elementi costitutivi:
Inoltre,
da qualche anno a questa parte, per danno risarcibile si
deve intendere, oltre che la lesione di un diritto assoluto (la
proprietà,
oppure un diritto della personalità, per esempi), anche la
lesione di un
interesse inteso come diritto di credito, che ad esempio non venisse
onorato
dal debitore per colpa di un terzo, il quale potrà essere
chiamato a rispondere
del danno direttamente dal creditore principale. Oggi, anche un giudice
amministrativo può condannare al risarcimento. Si assiste,
quindi, ad una
espansione dell'istituto del risarcimento.
Il
danno economico è risarcibile secondo i principi della
responsabilità contrattuale, quindi, sia come danno emergente
che come lucro
cessante (la lesione e le sue dirette conseguenze). Ovviamente l'onere
della
prova grava sempre sul danneggiato.
Un
altro aspetto importante è che risarcibile non è soltanto
un
danno di natura economica. Peculiarità della
responsabilità extracontrattuale è
quella di dar luogo al risarcimento anche di danni non patrimoniali,
come il
danno biologico. Il codice prevede espressamente il risarcimento del
danno no
patrimoniale, vincolandolo ai soli casi previsti dalla legge (2059),
per
esempio, la raccolta non autorizzata di dati personali, ai sensi della
legge
675/96 (privacy).
Tipologia
del danno.
I
danni possono essere di tre tipi: economico,
non
patrimoniale,
biologico.
Quest'ultimo è di derivazione giurisprudenziale, ed è
quantificabile con
l'ausilio di alcune tabelle predeterminate dai tribunali e dai periti.
Il danno
non patrimoniale di cui al 2059, corrisponde ad un risarcimento solo
nel caso
in cui l'illecito civile si rifletta da un reato penale, e si configura
nel
danno morale, ossia il prezzo per il dolore. Nel danno economico
rientra
l'incapacità lavorativa, ossia quella situazione di
impossibilità a produrre il
proprio reddito col lavoro, e si quantifica anch'esso con l'ausilio di
tabelle.
Se il danno è riferito alla persona, scattano automaticamente
tutti e tre i
tipi di danno. Si è quindi considerato ingiusto che la persona
che era stata
privata della capacità lavorativa non fosse risarcita del danno.
Il danno
biologico è risarcibile indipendentemente dalla natura penale
dell'illecito. A
questo riguardo si è espressa
Riepilogando,
per atto o fatto illecito, sono risarcibili: il
danno economico (lucro cessante e danno emergente), il danno morale
(quando è
associato ad un reato) e il danno biologico (che un D.L. ha cercato di
disciplinare nella sua determinazione, ma che poi è stato
convertito in legge
con modifiche senza la disciplina dettata in materia di risarcimento).
Il danno
biologico è stato concesso anche ai parenti del danneggiato che
hanno lamentato
l'insorgenza di una nevrosi connessa all'assistenza che hanno dovuto
prestare
al parente paziente.
Responsabilità
oggettive.
Rispetto
alla norma generale (2043), esistono anche ipotesi
specifiche disciplinate dagli art. 2049 - 2052, e anche da leggi
speciali. Ad
esempio la legge Mammì n.223/90, in materia di rettifica
radiotelevisiva di
informazioni errate trasmesse che hanno danneggiato l'immagine di
talune
persone. Ma ci sono norme speciali anche in materia di
responsabilità del
produttore di un bene difettoso immesso sul mercato, ed anche in
materia di
danno ambientale con relativo risarcimento allo Stato (art.
La
responsabilità dell'imprenditore che immette un prodotto
difettoso sul mercato è ammessa, anche se non c'è colpa o
dolo (elemento
soggettivo). È un tipo di responsabilità detta oggettiva,
perché le manca
l'elemento soggettivo della colpa, e che trova radicamento nel codice
dentro
norme non esplicite, come l'art. 2049 sulla responsabilità dei
padroni e dei
committenti, che pur non avendo colpa per gli atti compiuti dai loro
domestici
o commessi, devono comunque risponderne (es. la collaboratrice
domestica, nel
fare le pulizie fa cadere un vaso dalla finestra su un'auto, la
responsabilità
sarà del padrone di casa).
Un
altro
esempio di responsabilità oggettiva è quello derivante
dalla custodia di
animali.
In
sostanza, si ha responsabilità oggettiva, quando il soggetto
è
chiamato a rispondere senza che nessun addebito soggettivo possa
essergli
contestato.
Sono
più
chiare le ipotesi di responsabilità oggettiva delineate dalle
leggi speciali.
Invece,
nel codice, come per l'art. 2052, per alcuni autori è
responsabilità oggettiva, mentre per altri è
responsabilità aggravata.
Anche
il 4° comma del 2054 è da considerarsi una
responsabilità
oggettiva, perché il proprietario del veicolo, l'usufruttuario e
il conducente,
sono responsabili per i difetti di fabbricazione del veicolo che
causino danni
a terzi.
Nei
casi già illustrati e previsti dagli art. 2047 e 2048, quello
che interessa ai fini del risarcimento è la capacità
naturale di intendere e di
volere, quella d'agire è relativa. In particolare, il 2048 si
riferisce alla
responsabilità dei genitori che devono rispondere degli atti
commessi dal
minore che era capace di intendere e di volere, altrimenti si configura
il caso
precedente del 2047. Se, però, il genitore dimostra di aver
fatto tutto il
possibile per evitare il danno, a rispondere sarà chiamato il
minore stesso.
Non è un caso di responsabilità oggettiva, perché
sul soggetto incombe la
responsabilità per non aver vigilato diligentemente sul minore.
Per questa
fattispecie è previsto il requisito della convivenza, che
è fondamentale.
Nell'esempio dei genitori separati, dove il figlio minorenne coabita
con un
solo genitore, il quale ne ha l'onere della vigilanza, la
responsabilità del
2048 si fa risalire solo al genitore che lo ha in affidamento; nel caso
che il
danno emerga dal fatto commesso mentre il minore era temporaneamente
vigilato
dall'altro genitore, alcune sentenze hanno fatto risalire la
responsabilità
sempre al genitore che lo aveva in affidamento, cioè che vi
coabita, perché le
Corti hanno ritenuto che l'educazione abbia importanza primaria
rispetto alla
vigilanza.
Altri
casi di responsabilità oggettiva è quella del produttore
di
un bene difettoso (Decreto del Presidente della Repubblica 24 maggio
1988, n.
224 - Attuazione della direttiva CEE n. 85/374 relativa al
ravvicinamento delle
disposizioni legislative, regolamentari e amministrative degli Stati
membri in
materia di responsabilità per danno da prodotti difettosi, ai
sensi dell'art.
15 della l. 16 aprile 1987, n. 183). Per questo caso il termine di
prescrizione
dell'azione risarcitoria è di 3 anni. Se però non si
configurano tutti gli
estremi per la responsabilità del produttore, espressamente, il
decreto dice
che non sono esclusi i diritti al risarcimento garantiti da altre leggi
eventuali. Restano comunque esclusi da questa disciplina i prodotti
agricoli
che non sono trasformati. Sono però parificati ai prodotti
trasformati quelli
che vengono impacchettati e confezionati, perché comunque, in
qualche misura,
sono stati manipolati. Nel D.P.R. 224/98, oltre alla riduzione della
prescrizione, vi è un'altra norma in favore del produttore,
quella della
decadenza dopo 10 anni dall'immissione sul mercato di quel tipo di
prodotto.
Quando
un soggetto muore il suo patrimonio va ai suoi eredi. La
terminologia successione mortis causa sta ad indicare che un soggetto
subentra
nei diritti del defunto. Anche la costituzione definisce le regole
generali delle
successioni facendo distinzione tra legittima e testamentaria. Tutto
questo è
legato al sistema della proprietà provata. Il codice tratta
delle successioni
nel libro secondo, a partire dall'art. 456. Questo è
simbolicamente
significativo, perché, il fatto si seguire direttamente il libro
delle persone
e della famiglia, vuol dire che questo istituto serve principalmente
alla
tutela del patrimonio di famiglia. È il problema della tutela
della famiglia
legittima del defunto. Ma è un istituto che trova la sua
importanza nel fatto
di dare un proprietario alle cose del patrimonio. Solo in estrema ratio
è lo
Stato a essere erede, proprio per assicurare in ogni caso un titola, al
fine di
evitare il problema sociale dei beni vacanti. Un'altra ragione e di
carattere
finanziario, dato che lo Stato fa dei prelievi sui trasferimenti dei
cespiti
patrimoniali.
Erede
universale e legatario.
L'erede
universale è colui che subentra in tutti i rapporti del de
cuius, anche quelli passivi, è vi risponde anche con il proprio
patrimonio. Il
successore a titolo particolare (legatario), è colui che succede
solo nei
rapporti espressamente indicati. Mentre per l'erede è richiesta
l'accettazione,
per il legatario no, anche se può comunque rinunciare. Il
legatario succede
immediatamente. Nei confronti del legatario è tenuto l'erede,
quindi il primo
può chiedere al giudice di fissare un termine per l'accettazione
dell'eredità.
Talvolta, però, non è semplice capire se il chiamato a
succedere nel testamento
sia erede o legatario.
Successione
legale.
Nel
nostro ordinamento, la successione mortis causa, si apre
nell'ultimo domicilio del defunto. C'è anche la
possibilità di redigere un
testamento, che è un atto di liberalità mortis causa.
Quindi, nell'apertura
della successione, bisognerà vedere prima di tutto se c'è
un testamento. Se è
così, si avrà una successione, in parte per testamento, e
in parte legale. Se
non c'è testamento si darà luogo alla successione legale.
La vocazione
ereditaria
è la chiamata a succedere. Una volta individuato l'erede,
perché
sia tale, c'è bisogno della sua accettazione. L'accettazione
può essere anche
tacita.
Successione
necessaria.
Il nostro
codice definisce 6 categorie di succedibili, cioè fino al 6°
grado di
parentela, dopo di che succede lo Stato. C'è, però, una
forte tutela della
famiglia evidenziata dalle norme della successione necessaria
in favore di eredi legittimati, cioè indicati
tassativamente dalla legge.
Sono
eredi legittimati:
Una
quota dell'asse ereditario deve essere necessariamente riservata a questi
eredi. Le norme
della successione legittima hanno riguardo di questo. E'
invece nella successione testamentaria che si può verificare una
lesione degli
interessi degli eredi legittimati. Se il testamento non rispetta le
quote
legittime, le sue disposizioni di volontà non sono nulle, ma
inefficaci nei
confronti dei legittimati, i quali hanno 10 anni di tempo per impugnare
il
testamento è chiedere l'azione di riduzione.
Questa è
un'azione personale che non può neanche essere chiesta dai
creditori dell'erede
leso nella legittima. Tutto questo, perché, in ragione della
tutela della
famiglia, esiste la quota legittima, alla quale, però, i
legittimati possono
rinunciare non richiedendone l'azione relativa.
Successione
testamentaria.
I
testamenti ammessi dal nostro ordinamento sono 3: olografo,
pubblico e segreto. L'olografo è quello privato redatto dal
testatore di suo
pugno, gli altri sono quelli redatti dal pubblico ufficiale. L'olografo
viene
tenuto con se' dal testatore nella sua abitazione.
Può
succedere che il testamento sia nullo o che sia annullabile.
Ognuno dei testamenti richiede delle forme specifiche, in mancanza
delle quali
si arriva alla nullità. L'olografo deve essere scritto di pugno
e sottoscritto;
è richiesta poi anche la data, ma ad probationem rispetto ad
altri testamenti
precedenti, oppure in controversie riferite alla capacità di
intendere e volere
del testatore prima di un determinato giorno. La sottoscrizione serve
per
identificare la paternità dell'atto e può anche essere
una sigla o un
diminutivo usuale. La data può anche essere espressa in modo
implicito (natale
2000). Il testamento pubblico è ricevuto verbalmente dal notaio
e messo per
iscritto in presenza di 2 testimoni, che ascolteranno la rilettura da
parte del
testatore, prima di sottoscriverlo (forma solenne). Il testamento
pubblico è
l'unico che può essere fatto da chi non sa leggere è
scrivere. Il testamento segreto
può essere scritto dal testatore, o da un terzo (nel qual caso
deve riportare
la firma del testatore sopra ogni mezzo foglio). Il notaio poi quando
lo
riceve, deve assolvere altre necessarie formalità per rendere
valido il
testamento segreto. Il notaio non conosce il contenuto, ma adempie solo
alle
formalità del visto.
Istituti
di tutela.
Ci
sono degl'istituti tipici delle successioni, come l'azione
interrogatoria,
o la rappresentazione,
che consente la successione
dei discendenti in luogo dell'ascendente che non vuole o non può
diventare
erede. Questo però si applica solo quando il chiamato a
succedere è figlio o
fratello del defunto. In questo caso, si avrà una successione
per stirpi.
Un
altro istituto tipico è quello della collazione,
che ha lo scopo di assicurare la parità di condizione
tra figli legittimi e naturali e il coniuge, i quali devono conferire
agli
eredi tutto ciò che hanno avuto dal defunto in donazione, per
riequilibrare
eventuali situazioni di disparità di trattamento. Ovviamente
salva la lesione
della legittima. Ci sono beni che sono sottratti alla collazione come
per
esempio le donazioni di modico valore fatta al coniuge e le spese di
mantenimento.
Accettazione
dell'eredità con beneficio
d'inventario del successore a titolo universale.
Un
caso di tacita accettazione dell'eredità è quando l'erede
è nel
possesso dei beni del defunto. In questo caso ha 3 mesi di tempo per
dichiarare
o no se accetta l'eredità. L'inventario si deve fare entro 40
giorni
dall'accettazione con beneficio d'inventario. Un altro caso di tacita
accettazione dell'eredità è la riscossione di un credito
del defunto. Il
termine per accettare l'eredità è di 10 anni . Ci sono
casi in cui il soggetto
deve accettare con beneficio d'inventario, come nel caso dei genitori o
del
tutore che accettano l'eredità per conto di un figlio minore o
di un interdetto
giudiziale. Devono poi accettare con beneficio d'inventario anche tutte
le
persone giuridiche, quindi anche gli enti pubblici.
1.
GENERALITA’
La
responsabilità
patrimoniale si può definire come «L’assoggettamento
del patrimonio del
debitore inadempiente al soddisfacimento forzoso delle ragioni del
creditore».
La
responsabilità si
manifesta come conseguenza
dell'inadempimento del debitore e concorre e realizzare la tutela
giuridica
del credito. In materia vigono due principi fondamentali:
‑
l'assoggettamento
cade su tutti i beni presenti e futuri del
debitore (cioè anche quelli pervenuti dopo l'assunzione
dell'obbligo: v. art.
2740
C.C.);
‑ inoltre
tutti i
creditori hanno uguale diritto di
essere soddisfatti sui beni del debitore (garanzia generica), salve le
cause
legittime di prelazione (art. 2741 c.c.) che sono: il pegno, l'ipoteca
e i
privilegi, i quali attribuiscono ai crediti cui accedono il diritto ad
essere
soddisfatti prima degli altri su taluni beni.
Esaminiamo,
innanzitutto, le cause legittime di prelazione che sono, per espressa
previsione legislativa, il privilegio,
il pegno e l'ipoteca: il creditore da esse assistito è
preferito, nel
riparto del prezzo ricavato dalla vendita forzata, rispetto agli
altri
creditori (chirografari).
2.
I
PRIVILEGI
Il privilegio
è un titolo di prelazione che la legge accorda al
creditore in considerazione della particolare natura o causa del
credito (art.
2745 c.c.).
Fonte dei
privilegi è
soltanto la legge: le
parti non possono creare altri crediti privilegiati oltre quelli
previsti dal
legislatore.
I privilegi si
distinguono in due categorie:
1) privilegio
generale,
che è solo mobiliare e si fa valere
sul ricavato della vendita coattiva eseguita su tutti i
beni mobili del debitore.Esso consiste in un particolare
riconoscimento fatto alla causa del credito, indipendentemente da ogni
rapporto
con i beni mobili che sono sottoposti ad esecuzione.
2) privilegio
speciale,
che può essere mobiliare o immobiliare e
grava soltanto su determinati beni del debitore. Esso è
giustificato dal
particolare rapporto di connessione esistente tra il credito e la cosa
su cui
si esercita.
I privilegi
speciali,
se la legge non dispone diversamente, hanno un diritto
di seguito,
cioè
possono esercitarsi anche in pregiudizio dei diritti acquistati
dai terzi
posteriormente al loro sorgere (art. 2747 c.c.).
Qualora
coesistono più
crediti privilegiati, la legge (artt. 2777‑2783 c.c.) stabilisce un
ordine di
preferenza fra gli stessi fondato esclusivamente sulla causa del
credito e non
sulla priorità nel tempo di costituzione dell'uno o dell'altro.
Ad esempio,
alle spese di giustizia è sempre accordata preferenza assoluta.
3.
I DIRITTI
REALI DI GARANZIA (PEGNO E IPOTECA)
Anche il pegno
e
l'ipoteca sono cause legittime di
prelazione, in quanto
diritti reali,
però,
essi presentano altresì
i seguenti requisiti:
‑
l'immediatezza: per
il loro esercizio non occorre la cooperazione di alcun soggetto;
‑‑
l'assolutezza: sono
opponibili erga omnes;
‑ il diritto
di sequela
(di inseguire, cioè, il bene) nel
senso che il creditore ha il potere di soddisfarsi sul bene anche se la
proprietà è passata ad altra persona.
‑
Accessorietà: se manca o si estingue l'obbligazione garantita,
viene meno o si
estingue anche la garanzia;
‑
specialità: il pegno
e l'ipoteca si costituiscono soltanto su beni
determinati (al contrario il privilegio può essere
generale, cioè
applicabile a tutti i beni mobili del debitore);
‑
determinatezza: la
garanzia giova unicamente per determinati crediti, compresi i diritti
connessi
(es.: interessi);
‑
indivisibilità: il
diritto di pegno o di ipoteca si estende «sull'intero
bene che ne è oggetto e sulle sue parti, a garanzia dell'intero
credito e di
ogni parte di esso»;
‑ il cal.
supplemento di pegno e di ipoteca: se
la cosa data in garanzia perisca o si deteriori, il creditore
può chiedere che
gli sia prestata la garanzia su altri beni e, in mancanza, ha diritto
al
pagamento immediato del suo credito (perdita del beneficio del termine,
art.
2743 c.c.);
‑ divieto del
patto
commissorio: è vietato il patto con cui si stabilisce che, ove
il debitore sia
inadempiente, la proprietà della cosa oggetto del pegno o
dell'ipoteca spetti
al creditore (art. 2744 c.c.).
Secondo la
definizione
più comune, il pegno è un diritto reale
di garanzia; ossia un diritto concesso dal debitore (o da un
terzo) su cosa mobile a garanzia di un credito.
Esso si perfeziona solo con la consegna materiale della cosa.
Oggetto del pegno
possono essere i beni mobili (eccetto quelli
registrati), le universalità di mobili, i
crediti ed altri diritti aventi per oggetto beni mobili (art. 2784
c.c.)
che siano infungibili.
II pegno si
costituisce
mediante contratto (contratto di
pegno), tra il creditore e il debitore o un terzo datore del bene. Si
tratta di
un contratto reale, perché si
perfeziona con la consegna al
creditore della cosa. Il debitore (o il terzo) proprietario del bene ne
è temporaneamente spossessato a garanzia
del pagamento del debito (art. 2786 c.c.).
È un diritto reale di garanzia, concesso dal
debitore (o da un terzo) su un bene, a
garanzia di un credito, che attribuisce al creditore il potere di
espropriare il bene e di essere soddisfatto con preferenza sul prezzo
ricavato.
Possono essere
oggetto
di ipoteca (art. 2810 c.c.):
‑ i beni immobili con le loro pertinenze;
‑ i beni mobili registrati (navi, aeromobili,
autoveicoli);
‑ l'usufrutto,
il diritto di superficie, il diritto dell'
enfiteuta e quello del conce
dente sul
fondo enfiteutico; ‑le
rendite dello Stato.
Anche la quota
di un bene indiviso può essere oggetto di
ipoteca (art.
Il diritto di
ipoteca
si costituisce mediante iscrizione
nell'apposito registro presso l'ufficio dei registri
immobiliari che ha competenza territoriale sul luogo ove si trova
il bene.
Tale iscrizione ha, pertanto, carattere costitutivo:
la volontà delle parti, la legge o la sentenza
attribuiscono
al creditore
il diritto ad ottenere l'iscrizione (cioè costituiscono il
titolo per la
costituzione), ma solo con l'iscrizione
il diritto viene ad esistenza.
L’
ipoteca, per la sua
natura di diritto reale, ha efficacia
anche nei confronti di chi acquisti l'immobile dopo l'iscrizione:
infatti, i
creditori ipotecari possono far espropriare i beni ipotecati anche dopo
l'alienazione (v però gli artt. 2889
ss. c.c.).
4.
GARANZIE
SEMPLICI O PERSONALI
Sono quelle
garanzie
che non si costituiscono mediante la creazione di un diritto su una
cosa
determinata, con conseguente diritto di prelazione sulla stessa, ma
consistono
nella creazione di un nuovo rapporto obbligatorio (accessorio
all'obbligazione
principale) fra lo stesso creditore e un altro soggetto che si aggiunge, col suo patrimonio, a rafforzare
la garanzia del creditore.
A) La fideiussione (artt. 1936‑1957 c.c.)
La
fideiussione si
costituisce mediante un contratto col quale
un terzo si obbliga personalmente verso
il creditore, garantendo l'obbligazione altrui.
Di regola la
fideiussione presuppone un accordo con il debitore principale, ma tale
accordo non è essenziale: l'eventuale intesa
è,
cioè, al di fuori dello schema del rapporto di fideiussione che,
come tale, è bilaterale, non trilaterale. La
volontà
di prestare fideiussione deve essere espressa (art. 1937 c.c.).
Per quanto
concerne la responsabilità del fideiussore:
‑sussiste un
rapporto
di solidarietà fra il debitore e il
fideiussore che diviene «obbligato in solido» col debitore garantito;
‑può,
peraltro,
stabilirsi l'obbligo della previa escussione dell'obbligato principale:
ci si
deve rivolgere, cioè, prima al debitore garantito, poi, solo
dopo l'esecuzione
sui beni di quest'ultimo, ci si potrà rivolgere al fideiussore
(art. 1944, 2°
comma, c.c.);
‑può
essere stabilito,
nel caso di più fideiussioni, il beneficio della divisione: il
debito si divide
in tante parti quante sono i fideiussori e ogni fideiussore può
esigere che il
creditore richieda solo la parte di sua spettanza (art. 1947 c.c.);
‑il
fideiussore che ha
pagato è surrogato nei diritti che il
creditore aveva contro il debitore (art. 1949 c.c.): egli, cioè,
può valersi di
tutte le garanzie che erano a disposizione del creditore per rifarsi
sul
patrimonio del debitore garantito ed ha l'azione
di regresso con la quale può agire contro il debitore per
farsi rimborsare
di quanto ha pagato (art. 1950 c.c.);
‑il
fideiussore può opporre al creditore tutte le eccezioni che
spettano al
debitore principale, salva quella derivante da incapacità (art.
1945 c.c.).
I’obbligazione
del
fideiussore si estingue: per l'estinzione
dell'obbligazione del debitore principale; attraverso i normali modi di estinzione delle obbligazioni; per
particolari ipotesi previste dagli
artt. 1955‑1957 c.c.
l'avallo
è una dichiarazione cambiaria, con la
quale taluno garantisce il pagamento della cambiale per uno degli
obbligati
cambiari (il traente, l'emittente o un girante). Si tratta di
un'obbligazione
cambiaria autonoma di garanzia.
5.
Per i soli contratti a prestazioni corrispettive, per
rafforzare il diritto del creditore al risarcimento del danno in caso
di
inadempimento, le parti possono convenire che una consegni nelle mani
dell'altra una caparra, ossia una somma
di denaro o una quantità di cose
fungibili.
Si distingue
tra:
‑caparra controfirmatoria (art. 1385
c.c.): è una somma di denaro o una quantità di cose
fungibili che, al momento
della costituzione del rapporto obbligatorio, una parte dà
all'altra, quale
conferma dell'adempimento, di cui segna quasi un'anticipata e parziale
esecuzione.
Se il
contratto viene adempiuto, la caparra deve
essere restituita o imputata alla prestazione dovuta. In caso di
inadempimento,
invece: se inadempiente è la parte che ha dato la caparra,
l'altra può recedere
dal contratto e ritenere la caparra; se inadempiente è la parte
che l'ha
ricevuta, l'altra può recedere dal contratto ed esigere il
doppio della
caparra; resta salvo, comunque, il diritto di agire per il normale
adempimento
o per la risoluzione e il risarcimento del danno (in tale ultimo
caso, la
caparra varrà come anticipo sul pagamento dei danni);
‑caparra penitenziale (art. 1386
c.c.): in cui la somma che una parte dà all'altra non
rappresenta una cautela
contro l'inadempimento, ma è il
corrispettivo per l'attribuzione della facoltà di recesso
dalla
obbligazione contrattuale (cioè di liberarsi dall'obbligazione
assunta).
Una volta
versata la caparra, i contraenti si
riservano la scelta tra l'adempimento ed il recesso. Il recesso si
attua per
volontà unilaterale, rinunziando alla caparra nelle mani della
controparte, se
recede il soggetto che l'ha consegnata, o provvedendo alla restituzione
di una
doppia caparra nell'ipotesi inversa.
6.
IL
DIRITTO DI RITENZIONE
Talvolta la
legge
concede al creditore di trattenere una cosa che egli avrebbe
l'obbligo di
restituire al proprietario, alfine di indurre quest'ultimo a
soddisfare un suo
debito. Trattasi di un mezzo di pressione sulla volontà del
debitore, cui non
si accompagnano garanzie reali o privilegi.
7.
Le azioni
giudiziarie
concesse al creditore per la difesa della sua garanzia patrimoniale
sono le
seguenti:
1) l'azione
surrogatoria: è l'azione con cui il creditore chiede al giudice
di potersi
sostituire nella posizione del debitore, quando questi non eserciti o
meglio
trascuri di esercitare verso i terzi tutti i diritti a lui spettanti.
Affinché
il creditore possa proporre tale azione è necessario dunque che
vi sia:
inattività o inerzia da parte del debitore nell'esercizio dei
suoi diritti e
che da tale inerzia possa derivare un danno al creditore quindi
impossibilità
di quest'ultimo, di soddisfare su tale patrimonio le sue pretese.
La
surrogazione è
ammessa solo nei diritti che abbiano contenuto patrimoniale;
2) l'azione
revocatoria: in questo caso il presupposto per poterla invocare non
è l'inerzia
del debitore, bensì un atto di disposizione del suo
patrimonio che possa
arrecare danno alle ragioni del creditore.
Distinguiamo:
a) se l'atto
è a titolo
gratuito e sia stato effettuato dopo il sorgere del credito, è
sufficiente che
il creditore provi in giudizio la conoscenza da parte del debitore
stesso del
pregiudizio che questo avrebbe potuto arrecare al creditore;
b) se l'atto
è a titolo
gratuito e sia stato effettuato prima del sorgere del credito,
allora il
creditore deve provare anche il dolo del
debitore ossia la premeditazione di arrecare danno alle ragioni
del
creditore;
c) se l'atto
è a titolo
oneroso e sia stato compiuto dopo il sorgere del credito, occorre
dimostrare
che non solo il debitore ma anche il terzo era a conoscenza del
pregiudizio
che l'atto poteva arrecare alle ragioni del creditore;
d) se
l’ atto è a titolo oneroso e sia stato compiuto prima del sorgere del credito, il creditore
deve dimostrare oltre alla conoscenza anche la dolosa premeditazione del debitore e del terzo.
L'azione
revocatoria si
prescrive in 5 anni dalla data dell'atto.
3) il sequestro conservativo: si tratta
di un provvedimento di natura cautelare e per poterlo richiedere
occorre il
fondato timore, da parte del creditore, di perdere le garanzie a tutela
del
proprio credito (es.: rischio di fuga del debitore o distrazione di
beni dal
suo patrimonio).
E’
proponibile, in caso
di revocatoria, nei confronti di colui che abbia acquistato beni dal
debitore.
La
locazione è un contratto tipico (cioè è
espressamente regolato dalla legge), a
titolo oneroso e con carattere di durata. In ragione della diffusione
di tale
tipo di contratto, il Codice Civile contiene ben 83 articoli, dal 1571
al 1654,
che la riguardano. L’oggetto della locazione è
rappresentato dal godimento
e dall’uso della cosa locata. I limiti al potere di
utilizzazione possono
variare a seconda della destinazione contrattuale: vi è,
infatti, l'uso per
abitazione, per ufficio, per esercizio commerciale ecc. (locazioni
abitative e
non abitative).
La durata del contratto è fissata dal Codice Civile (art. 1573)
nel tempo
massimo di trent’anni, essendo nulla qualsiasi pattuizione per un
periodo
superiore. Sia al locatore, sia al conduttore in materia di
locazione
competono per espressa volontà legislativa specifici obblighi e
relativi
diritti.
La locazione di beni immobili
Accanto alle
previsioni
contenute nel Codice Civile sono operanti alcune leggi che disciplinano
particolari tipi di locazione. Si fa riferimento alle disposizioni
previste
dalla Legge 27 luglio 1978, n. 392, meglio nota come “legge
sull’equo canone” ,
al Decreto Legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito, con modificazioni,
dalla
Legge 8 agosto 1992, n. 359, conosciuta come disciplina dei
“patti in deroga” e
alla Legge 9 dicembre 1998, n. 431, che contiene la recente riforma
della locazione
e delle norme sul rilascio degli immobili adibiti ad uso
abitativo.
La legge 27
luglio 1978,
n. 392, aveva introdotto l’equo canone nella locazione degli
immobili
urbani.
Tale legge aveva dettato una nuova disciplina del rapporto locativo,
prevedendone
la durata, la possibilità di sublocazione, di scioglimento, di
successione nel
contratto. Era previsto un meccanismo di aggiornamento e adeguamento
del
canone, accanto a disposizioni concernenti la risoluzione giudiziale
delle
controversie tra locatore e conduttore.
La durata della locazione avente per oggetto immobili urbani per uso
abitativo
non poteva essere inferiore a quattro anni, salvo i casi di locazioni
stipulate
per soddisfare esigenze abitative di natura transitoria. Il contratto
si rinnovava
per un ulteriore periodo di quattro anni se nessuna delle parti
comunicava
all'altra, almeno sei mesi prima della scadenza, con lettera
raccomandata, che
non intendeva rinnovarlo. Quanto al recesso dal contratto,
indipendentemente
dalle previsioni contrattuali, il conduttore, qualora ricorressero
gravi
motivi, poteva recedere in qualsiasi momento dal contratto con
preavviso di
almeno sei mesi da comunicarsi con lettera raccomandata. In caso di
morte del
conduttore, gli succedevano nel contratto il coniuge, gli eredi e i
parenti e
affini con lui abitualmente conviventi. Tale legge conteneva,
altresì, i
criteri di ripartizione delle spese condominiali, fatti salvi dalla
nuova
disciplina, nonché la normativa relativa alla locazione di
immobili urbani adibiti
ad uso diverso da quello di abitazione (locazioni non abitative),
tuttora in
vigore per le parti non abrogate dalla nuova legge.Successivamente
è stata
introdotta la disciplina dei cosiddetti “patti in deroga”
con le norme
contenute nel decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333, convertito in
legge, con
modificazioni, dall’art.
Con tale tipo di rapporto, a fronte della corresponsione di un canone
di
locazione maggiore rispetto a quello “equo”, è stata
prevista una durata del contratto
più lunga, di quattro anni più altri quattro alla prima
scadenza ed è stata
introdotta l’assistenza, da parte delle organizzazioni della
proprietà edilizia
e dei conduttori maggiormente rappresentative a livello nazionale,
tramite le
loro organizzazioni provinciali, nella stipula degli accordi in deroga
alle
norme della citata Legge n. 392 del 1978. La crisi
dell’istituto locativo
si è tuttavia acuita soprattutto in conseguenza delle
difficoltà incontrate dai
proprietari per rientrare in possesso del bene locato alla naturale
scadenza
del contratto in quanto solo una percentuale minima dei locatari
è pronta a
riconsegnare l’immobile al tempo prefissato nel contratto. La
pressione
dell’opinione pubblica sulle forze politiche ha fatto sì
che l’esecuzione dei
provvedimenti di rilascio per finita locazione di immobili adibiti o
meno a uso
di abitazione sia stata più volte sospesa per mezzo di numerosi
provvedimenti
legislativi. Tale situazione ha segnato il punto di inizio per una
ormai
indilazionabile riforma del sistema.
La riforma si è concretizzata nel 1998 con l’approvazione
della Legge 9
dicembre 1998, n. 431 e si è ispirata, tra l’altro, alla
necessità di
rivitalizzare un mercato che da troppi anni ristagnava a causa della
mancanza
di sufficiente offerta di immobili ad uso abitativo, dovuta
soprattutto, come
già detto, alle difficoltà, per i proprietari, di
rientrare nella disponibilità
dell’appartamento alla scadenza del contratto.
Per cercare di raggiungere tale risultato il Parlamento ha seguito una
strada a
prima vista diversa rispetto ai principi ispiratori della legge del
1978,
prevedendo la possibilità di liberalizzazione del canone
locatizio (contratto
libero o di primo canale), la certezza della durata del rapporto e
anche alcuni
incentivi di natura fiscale, nel solo caso - però - che il
locatore aderisca
alla stipula di contratti-tipo con fissazione di un canone prestabilito
sulla
base di appositi accordi - definiti in sede locale tra le
organizzazioni della
proprietà edilizia e le organizzazioni dei conduttori
maggiormente
rappresentative - che tengano conto di parametri oggettivi , quale per
esempio
la rendita catastale dell’immobile (contratto regolamentato o
concordato o di
secondo canale).
Quanto alla durata , per i contratti liberi, è stabilita in
quattro anni più
altri quattro, salvo alcuni casi espressamente stabiliti dalla
legge. Nel
caso di contratti regolamentati la durata è di tre anni,
più due, nel caso in
cui, alla prima scadenza, le parti non concordino sul
rinnovo. Viene previsto
inoltre un tipo di contratto di natura transitoria, volto a soddisfare
particolari esigenze delle parti, e con durata anche inferiore ai
limiti
suddetti. Per favorire la stipula di contratti regolamentati il
legislatore ha previsto tutta una serie di agevolazioni di carattere
fiscale:
esse riguardano, in sintesi, la facoltà per i comuni di
diminuire, a carico del
proprietario, l’aliquota dell’imposta comunale sugli
immobili (ICI) e la
riduzione di IRPEF, IRPEG e imposta di registro.
Altra non meno
importante
novità è l’introduzione dell’obbligo della
forma scritta per la stipula di
contratti di locazione validi. Tale innovazione è stata
resa
indispensabile per evitare, o quanto meno ridurre, i casi in cui
vengono
stipulati contratti di locazione “mascherati” sotto forma
di altri contratti e
quindi per evitare l’aggiramento delle norme di legge ed è
volta a stabilire in
modo chiaro e certo la sussistenza del rapporto locatizio. La legge
prevede, in
caso di sua inosservanza, la reductio ad aequitatem del rapporto, con
applicazione del canone del “contratto regolamentato”. Non
rientrano invece
nell’ambito di applicazione della nuova legge, e sono quindi
restituite alla
regolamentazione delle norme del Codice Civile, le locazioni degli
immobili
vincolati ai sensi della Legge 1° giugno 1939, n. 1089 (le cui
norme sono ora
contenute nel D.L. n. 490/1999), le abitazioni di tipo signorile e le
abitazioni in ville, mentre si applica la normativa vigente in materia,
statale
e regionale, per gli alloggi di edilizia residenziale pubblica. Vi
è
inoltre un altro gruppo di immobili, che il legislatore ha considerato
a parte,
vista la loro peculiare destinazione, nei quali vanno ricompresi gli
alloggi
destinati esclusivamente a finalità turistiche e quelli
destinati a soddisfare
esigenze abitative di carattere transitorio in cui gli enti locali
figurano in
qualità di conduttori.
La legge n.
431 del
1998, inoltre, contiene misure volte a combattere l’evasione
fiscale, che è
stata finora piuttosto alta, sui redditi derivanti da rapporti di
locazione:
viene infatti stabilita quale conditio sine qua non per la messa in
esecuzione
del provvedimento di rilascio dell’immobile, la dimostrazione da
parte del
locatore, della registrazione del contratto, della denuncia
dell’immobile ai
fini ICI e delle dichiarazione, ai fini IRPEF, del reddito derivato dal
contratto stesso. Tale dimostrazione dovrà essere
soddisfatta con
l’indicazione, nel precetto di rilascio, degli estremi delle
operazioni
relative a ciascuna condizione.
Con la nuova legge “sugli affitti” si è inoltre
cercato, facendo leva su
agevolazioni di carattere fiscale, di far emergere tutta quella serie
di
rapporti che fino ad oggi non venivano dichiarati al fisco. Il
legislatore ha
dapprima anticipato, al periodo di imposta 1999, la detrazione ai fini
dell’imposta sul reddito delle persone fisiche, riconosciuta ai
conduttori di
immobili utilizzati come abitazione principale, con il Decreto
Legislativo 17
agosto 1999, n. 327, che rapporta la detrazione spettante al periodo di
durata
del contratto di locazione; la conseguenza di ciò è la
decadenza del conduttore
dal diritto di fruire della detrazione per tutto il periodo in cui non
adibisca
l’immobile ad abitazione principale. La detrazione di imposta
riconosciuta dal
Decreto n. 327 suddetto è però riservata ai soli
conduttori con contratto a
canone cosiddetto convenzionato e la misura della detrazione è
rapportata al
reddito complessivo del conduttore e non è prevista nel caso di
redditi
superiori ai sessanta milioni di lire.
Con
l’approvazione della
Convenzione Nazionale sono stati individuati i criteri generali che
costituiscono la base per la realizzazione di appositi accordi da
predisporre
in sede locale ai fini della definizione dei canoni di locazione.
Conclusa a
Roma il giorno 8 febbraio 1999, nella sede del Ministero dei lavori
pubblici, i
criteri in essa previsti sono stati formalizzati nel Decreto
Ministeriale 5
marzo 1999; a livello locale vengono previste aree omogenee determinate
attraverso vari parametri quali il valore di mercato, la dotazione
infrastrutturale (trasporti pubblici, aree verdi, servizi scolastici,
attrezzature commerciali ecc.), i tipi di costruzione, evidenziando
zone di
particolare pregio o di degrado.
Tutto ciò contribuirà alla determinazione del canone
effettivo che oscillerà
dunque tra un valore minimo e massimo determinato alla luce dei criteri
suddetti.La nuova legge ha comunque regolato soltanto le locazioni ad
uso
abitativo; le locazioni non abitative (industriali, professionali,
commerciali,
artigianali, turistiche ed altre attività particolari)
continuano ad essere
disciplinate dalle vecchie norme contenute nel Codice Civile e nella
Legge 392
del 1978.In conclusione, si ritiene utile la conoscenza delle norme che
regolano la materia procedurale in questo ambito
La
nuova disciplina delle
locazioni abitative è stata stabilita dalla Legge n. 431/1998.
Dopo aver scelto e firmato il contratto di locazione ad uso abitativo,
occorre
effettuare tutta una serie di operazioni affinché tale atto si
perfezioni e
tutto vada a buon fine. Alcune di queste operazioni sono (con alcune
eccezioni)
obbligatorie (registrazione, deposito cauzionale), altre facoltative
(verbali
di consegna e riconsegna dell'immobile, disdetta; il rinnovo è
automatico). Per
gli affitti superiori a 30 giorni, il proprietario deve provvedere a
effettuare
la denuncia di cessione del fabbricato presso il competente
Commissariato di
Polizia entro 48 ore dall'insediamento dell'inquilino, in base a quanto
previsto
dalla Legge n. 59/1978 sull'antiterrorismo. Inoltre è sempre
consigliabile che
l'inquilino acquisisca ogni prova documentale che dimostri la reale
situazione
di uso abitativo (per esempio, la documentazione anagrafica,
l'attestato di
lavoro, il permesso di soggiorno o altro) e che si intesti tutte le
utenze
domestiche, ovvero, luce, gas, acqua e telefono. In questo modo,
l'inquilino
potrà provvedere a saldare le bollette direttamente agli enti
erogatori, senza
bisogno di rivolgersi al padrone di casa.
È possibile avvalersi della prestazione di un mediatore anche
per l'affitto di
una casa. L'agente immobiliare impiegato presso un'agenzia operante sul
territorio è senz'altro la figura più indicata per la
ricerca dell'immobile più
congeniale alle specifiche esigenze abitative relative alle diverse
tipologie
di clientela. Il mediatore (Legge n. 39/1989) ha diritto a una
provvigione che
può essere calcolata con tre criteri diversi, tutti leciti: una
mensilità del
canone d'affitto (che si riduce alla metà se il contratto
è di durata pari o
inferiore a sei mesi); il 5% del canone annuo di locazione (che
rappresenta il
sistema ufficiale, raccomandato dalla Camera di commercio); una somma
diversa
stabilita in precedenza con atto sottoscritto dalle parti. A questo
proposito
occorre sottolineare che l'aver sottoscritto accordi più
dispendiosi rispetto
alle somme riportate sopra comporta comunque il rispetto degli accordi.
Nei
casi controversi, se non è presente alcun accordo scritto, il
giudice tenderà
ad applicare la provvigione del 5%. La registrazione del contratto
è
prevista per legge (Testo unico n. 131/1986) ed è resa
obbligatoria per tutti i
contratti, indipendentemente dall'ammontare dell'affitto annuo. L'unica
eccezione è rappresentata dai contratti con durata inferiore a
30 giorni.
Per assicurarsi che l'inquilino riceva l'immobile in buono stato e alla
scadenza del contratto lo riconsegni nelle stesse condizioni, si
può fare
affidamento sui verbali di consegna e di riconsegna dell'immobile.
È lo stesso
Codice Civile che ne prevede la stesura: "il conduttore deve restituire
la
cosa al locatore nel medesimo stato in cui l'ha ricevuta, in
conformità alla
descrizione che ne sia stata fatta dalle parti, salvo il deterioramento
o il
consumo risultante dall'uso della cosa in conformità del
contratto. In mancanza
di descrizione si presume che il conduttore abbia ricevuto la cosa in
buono
stato di manutenzione" (art. 1590).
Dunque, l'inquilino non è responsabile per i normali
deterioramenti dovuti
all'usura, mentre dovrà ripagare gli eventuali danni
straordinari causati da
cattiva manutenzione o da trascuratezza. Il verbale di consegna
è contemplato
negli affitti regolati, infatti tutti i tre i facsimili di contratto lo
prevedono esplicitamente. D'altra parte, anche prima della riforma, il
verbale
di consegna era usato comunemente, soprattutto negli affitti di
immobili
arredati o per uso transitorio. In entrambi i casi, infatti, sia per la
presenza di mobili appartenenti al proprietario, sia per il ricambio
continuo e
frequente di inquilini, è di primaria importanza la presenza di
un atto scritto
nel quale vengano annotate tutte le componenti dell'immobile e la
descrizione
dello stesso.
In ogni caso, completare il contratto d'affitto con il verbale di
consegna si
rivela molto utile, in quanto consente di mettere al riparo sia il
proprietario
sia l'inquilino da inutili polemiche successive sullo stato di
manutenzione. In
caso di contestazioni, infatti, se il verbale non è stato
redatto, si procederà
ad accertare presuntivamente le condizioni originarie. E questo, oltre
a
costituire un accertamento di difficile attuazione, può
risultare sfavorevole
anche per l'inquilino, che può essere condannato a risarcire dei
danni che in
realtà non sono stati provocati da lui, ma che erano già
presenti
nell'immobile.Al momento della scadenza del contratto le parti possono
redigere
un nuovo verbale, quello di riconsegna, nel quale si descrive lo stato
dell'immobile dopo l'uso da parte dell'inquilino. I verbali di consegna
e
riconsegna devono essere firmati contestualmente da proprietario e
inquilino.Per garantire il proprietario circa il rispetto del contratto
d'affitto è stato previsto il versamento a inizio contratto di
un deposito
cauzionale (Legge n. 392/1978, art. 11), da riottenere (con gli
interessi) alla
scadenza. Anche se nessuna legge prevede norme in relazione a tale
argomento, è prassi ormai consolidata iniziare a pagare il
canone relativo al
primo mese all'inizio della durata del contratto.
È
consentito inoltre che il
proprietario effettui delle visite periodiche presso l'immobile locato.
Infatti, mentre questi deve consegnare e mantenere la casa in buono
stato di
manutenzione, l'inquilino deve prendere in consegna l'immobile e farne
un uso
corretto. La verifica di questi obblighi è lasciata al libero
accordo delle
parti. Ma, proprio per evitare problemi al riguardo, spesso le
associazioni di
categoria hanno introdotto nei contratti clausole per consentire al
proprietario di visitare l'immobile almeno una volta l'anno, previo
accordo con
l'inquilino e con una comunicazione scritta. Nei contratti sprovvisti
di tale
clausola sarà comunque utile trovare un accordo al riguardo,
poiché il fatto di
poter visitare la propria casa costituisce uno specifico diritto del
proprietario (norma stabilita in conseguenza di una sentenza della
Cassazione).
Inoltre, l'inquilino deve consentire la visita dell'immobile una volta
la
settimana per almeno due ore durante gli ultimi sei mesi d'affitto, per
agevolare l'attività di ricerca di nuovi inquilini. Queste
visite di tipo
commerciale sono possibili durante l'intero rapporto d'affitto in caso
di messa
in vendita dell'appartamento.
Dunque, in un corretto rapporto proprietario/inquilino, il proprietario
chiederà all'inquilino, per iscritto o telefonicamente, in che
giorno e in
quale ora egli possa accedere alla casa per visitarla al fine di
sincerarsi
dello stato di manutenzione o anche per mostrarla a terzi interessati
all'acquisto o all'affitto.
Dal
30 dicembre 1998 è in vigore
la nuova normativa relativa alle locazioni di immobili adibiti ad uso
abitativo
stabilita dalla Legge 9 dicembre 1998, n. 431.
Le principali novità sono costituite dalla previsione:
- della forma scritta del contratto di locazione, a pena di
invalidità;
- di due tipi di contratti: uno "libero", l'altro basato su contratti
"tipo" elaborati dalle organizzazioni dei proprietari e degli
inquilini;
-
di benefici fiscali per il
locatore e il conduttore.
La
nuova disciplina stabilisce
l’abrogazione espressa, tra l’altro:
- di numerosi articoli della Legge 27 luglio 1978, n. 392 (cosiddetta
legge
sull'equo canone), limitatamente alle locazioni abitative;
- dell’art. 11 del D.L. 11 luglio 1992, n. 333 (cosiddetta. legge
sui patti in
deroga).
I
contratti e i giudizi dinanzi
alla Magistratura riguardanti rapporti di locazione sorti
precedentemente
all'entrata in vigore della legge e cioè prima del 30 dicembre
1998
seguiteranno ad essere disciplinati e regolati dalle norme vigenti al
momento
della stipula. Questo significa che gli inquilini potranno per
tutto il
periodo di futura validità di questi contratti, e fino alla loro
prossima
scadenza, avvalersi dei diritti stabiliti dalle leggi 392/78 (equo
canone) e
359/92 (patti in deroga). In particolare potranno essere ricondotte con
azione
specifica all'equo canone tutte le situazioni di contratti simulati,
variamente
sorte in violazione di norme imperative su misura degli affitti, durata
e altri
diritti dell'inquilino.
Alla scadenza della loro durata naturale, tutti i vecchi contratti, se
non
saranno disdettati, diventeranno tacitamente contratti di quattro anni
rinnovabili automaticamente per altri quattro. Ovviamente anche
tutte le
cause in corso davanti al Magistrato, per esempio per la determinazione
dell'equo
canone, saranno decise sulla base della precedente normativa dettata
dalla L.
392/78.
Le nuove disposizioni si applicano ai contratti di locazione di
immobili
adibiti ad uso abitativo stipulati o rinnovati dopo il 30 dicembre 1998.
Le nuove disposizioni non si applicano alle locazioni riguardanti (art.
1.2):
- immobili vincolati ai sensi della Legge 1 giugno 1939, n. 1089 (le
cui norme
sono ora contenute nel
D.L. n. 490/1999) o inclusi nelle categorie catastali A/1, A/8 e
A/9;
- alloggi di edilizia residenziale pubblica;
- locazioni esclusivamente per finalità turistiche.
A partire dal 30 dicembre 1998 per la stipula di validi contratti di
locazione
è richiesta la forma scritta (art 1.4).
Ai sensi dell’art. 2.1, le parti possono stipulare contratti di
locazione
(cosiddetti "liberi"o di "primo canale") di durata non
inferiore a 4 anni, decorsi i quali sono rinnovati per un periodo di
altri 4
anni, salvo i casi in cui il locatore intenda:
- destinare l'immobile ad uso abitativo, commerciale, artigianale o
professionale proprio, del coniuge, dei genitori, dei figli o dei
parenti entro
il secondo grado;
- effettuare lavori di ristrutturazione, demolizione o radicale
trasformazione
dell'intero stabile;
- vendere l'immobile a terzi.
Alla seconda scadenza del contratto:
- ciascuna delle parti può comunicare all'altra, con
raccomandata, le
condizioni per il rinnovo o la relativa rinuncia;
- in assenza di comunicazioni delle parti, si ha il rinnovo tacito alle
medesime condizioni.
La
disciplina dell’art. 2.1 si
applica anche ai contratti di locazione stipulati prima del 30 dicembre
1998
che si rinnovino tacitamente (art. 2.6).
Ai sensi dell’art. 2, commi 3 e
Tali contratti devono avere durata non inferiore a tre anni, prorogati
di
diritto per altri due, salva la facoltà di disdetta del locatore
nei casi già
indicati per i contratti "liberi".
Alla seconda scadenza del contratto:
- si ha il rinnovo tacito alle medesime condizioni, in assenza di
comunicazioni
delle parti;
- ciascuna delle parti può comunicare all'altra, con
raccomandata, le
condizioni per il rinnovo o la relativa rinuncia.
L’art. 2.4 prevede che, per favorire gli accordi, i comuni
possono deliberare:
- aliquote ICI più favorevoli, anche inferiori a quelle minime,
per i
proprietari che locano alle condizioni definite dagli accordi
stessi;
- l’aumento dell'aliquota ICI massima fino a due punti
(cioè, attualmente, fino
al 9 ‰) per gli immobili non locati da almeno due anni.
Alla prima scadenza del contratto, il locatore può disdettarlo,
dandone
comunicazione al conduttore con almeno sei mesi di preavviso, per i
seguenti
principali motivi (art. 3.1):
- il locatore intenda destinare l'immobile ad uso abitativo,
commerciale,
artigianale o professionale proprio, del coniuge, dei genitori, dei
figli o dei
parenti entro il secondo grado;
- il conduttore abbia la piena disponibilità di un alloggio
libero e idoneo
nello stesso comune;
- l'immobile sia compreso in un edificio gravemente danneggiato e debba
essere
ricostruito o assicurata la sua stabilità;
- il locatore intenda effettuare lavori di ristrutturazione,
demolizione o radicale
trasformazione dell'intero stabile;
- il conduttore non occupi continuativamente l'immobile senza
giustificato
motivo;
- il locatore intenda vendere l'immobile a terzi e non abbia la
proprietà di
altri immobili ad uso abitativo oltre a quello eventualmente adibito a
propria
abitazione.
Nella comunicazione di disdetta deve essere specificato, a pena di
nullità, il
motivo sul quale si fonda.
Al conduttore è riconosciuto il diritto di prelazione in caso di:
- vendita dell'immobile (art. 3.1 lett. g);
- locazione dopo la conclusione dei suddetti lavori di
ristrutturazione,
trasformazione ecc. (art. 3.2)
In caso di illegittimo esercizio della facoltà di disdetta, il
conduttore ha
diritto al risarcimento del danno o al ripristino del rapporto di
locazione
(art. 3, commi 3 e 5).
Il conduttore può invece recedere in qualsiasi momento dal
contratto, qualora
ricorrano gravi motivi, dando comunicazione al locatore con preavviso
di sei
mesi (art. 3.6).
I proprietari che locano immobili nei comuni ad alta tensione
abitativa, sulla
base dei contratti "tipo", beneficiano:
- di un'ulteriore riduzione del 30% del reddito dell'immobile,
determinato ai
sensi dell'art. 34 del Tuir;
- dell'applicazione dell'imposta di registro sui corrispettivi annui
nella
misura minima del 70% (art. 8.1).
Per usufruire dei benefici, il locatore deve indicare nella
dichiarazione dei
redditi gli estremi di registrazione del contratto di locazione (ove
obbligatorio) e quelli della denuncia dell'immobile ai fini ICI (art.
8.2).
Tali agevolazioni non si applicano ai contratti di locazione per
esigenze
abitative di natura transitoria, fatta eccezione per quelli a favore di
studenti universitari o stipulati da enti locali (art. 8.3).
Con una modifica all’art. 23.1 del TUIR, viene stabilito che i
redditi
derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se
non
percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento di
conclusione del
procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per
morosità del
conduttore.
Inoltre, per le imposte versate sui canoni venuti a scadenza e non
percepiti,
come accertato nell'ambito del procedimento di convalida di sfratto per
morosità, è riconosciuto un credito d'imposta di pari
ammontare (art. 8.5).
Con i provvedimenti "collegati" alla manovra finanziaria del triennio
2000-2002 sarà concessa una detrazione IRPEF a favore
dei conduttori:
- di alloggi adibiti ad abitazione principale,
- appartenenti a determinate categorie di reddito (art. 10).
Mediante un Fondo nazionale a sostegno dei conduttori, gli stessi
possono
ottenere contributi per il pagamento dei canoni di locazione.
I contributi sono concessi a condizione che il conduttore dichiari che
il
contratto di locazione è stato registrato (ove obbligatorio) e
non sono
cumulabili con le detrazioni IRPEF previste dall'art. 10 (art.
11).
Ai sensi dell’art. 13, è nulla ogni pattuizione volta a:
- determinare un importo del canone di locazione superiore a quello
risultante
dal contratto scritto e registrato;
- attribuire al locatore, per i contratti "tipo", un canone superiore
a quello massimo definito dai relativi accordi;
- derogare i limiti di durata del contratto stabiliti dalla presente
legge.
Il conduttore può richiedere:
- la restituzione delle somme corrisposte in misura superiore, entro
sei mesi
dalla riconsegna dell'immobile locato;
- la riconduzione della locazione a condizioni conformi.
3 -
La
registrazione del contratto
di locazione è obbligatoria per tutti i contratti,
indipendentemente
dall'ammontare dell'affitto annuo, con la sola eccezione dei contratti
con
durata inferiore a 30 giorni.
Vediamo brevemente quali sono le modalità mediante le quali
è possibile
effettuare la registrazione. Dal primo gennaio 1998 tutti i contratti
di
locazione devono essere "obbligatoriamente" registrati entro 20
giorni dalla firma del contratto stesso o dalla data della sua
decorrenza
economica, se precedente. Per esempio, se l'inquilino è andato
ad abitare
nell'immobile il primo gennaio, ma il contratto è stato
sottoscritto il 10
gennaio, la decorrenza dei 20 giorni utili per la registrazione non
scatta dal
10 gennaio (data della firma), ma dal primo del mese.
In
caso di registrazione
effettuata in ritardo, la legge prevede il pagamento di una mora (entro
30
giorni, il 15% in più dell'importo dovuto più gli
interessi legali attualmente
al 2,5%; oltre i 30 giorni, il doppio dell'importo iniziale più
gli interessi
legali).
In
genere, è il proprietario a
effettuare la registrazione in qualsiasi Ufficio del registro (Imposte
dirette), previo pagamento del bollettino presso banche, esattorie o
uffici
postali (dal primo gennaio 1998 non è più in funzione lo
sportello cassa
dell'Ufficio del registro). La ricevuta del versamento sarà poi
esibita
all'Ufficio del registro insieme ai seguenti atti: l'originale e una
copia del
contratto, ciascuno con una marca da bollo da 20.000 lire (è
comunque
consigliabile predisporre tre copie, in modo che, oltre a quella
dell'ufficio,
ne rimanga una per il proprietario e una per l'inquilino); il modello
69
compilato (disponibile presso l'Ufficio del registro); il modello A8
riepilogativo dei contratti che si presentano per la registrazione.
Solo a questo punto può dirsi concluso l'iter della
registrazione. Per quanto
riguarda il versamento dell'imposta di registro relativa alle
annualità
successive alla prima, gli interessati devono utilizzare l' apposito
modello
F23 da presentare alla posta o in banca. Non occorre tornare
all'Ufficio del
registro a meno che non si debba notificare una proroga o la
risoluzione del
contratto. È importante sottolineare, infine, che l'imposta deve
essere pagata
dalle parti contraenti in ugual misura (50% a testa), ma allo stesso
tempo il
proprietario e l'inquilino sono obbligati in solido al pagamento.
Ciò significa
che lo Stato può richiedere l'intero importo dell'imposta anche
solo a uno
degli interessati, il quale sarà obbligato a versarlo, salvo,
poi, riottenere
la metà dall'altro.
IL RINNOVO
Se
di un contratto ad uso
abitativo non viene data disdetta nei tempi previsti, lo stesso si
rinnova
automaticamente per tempi diversi, a seconda del tipo di contratto.
Occorre
fare particolare attenzione ai vecchi contratti in corso stipulati
prima della nuova
legge, perché, a parte il rinnovo automatico per altri quattro
anni del patto
in deroga alla prima scadenza, negli altri casi (equo canone e patto in
deroga
alla seconda scadenza), se non viene notificata la disdetta del
contratto,
quest'ultimo entra nel regime della nuova legge con durata quattro anni
più
quattro di rinnovo.
IL DEPOSITO
CAUZIONALE
Circa il
rispetto del
contratto d'affitto, a garanzia del proprietario
In genere, gli interessi legali sono corrisposti all'inquilino alla
fine del rapporto
di locazione, insieme alla restituzione del deposito. Ciò non
toglie che
l'inquilino, avendone diritto, possa richiedere gli interessi di anno
in anno.
È buona regola per il conduttore acquisire la prova del reale
pagamento della
somma a deposito (attraverso le ricevute di versamento o di accrediti
in banca,
le matrici di assegni ecc.) così come delle cifre sostenute per
l'affitto o per
le spese condominiali.
La restituzione del deposito cauzionale deve avvenire al momento del
rilascio
dell'immobile.
Si tratta di
una pratica
burocratica (prevista dalla legge antiterrorismo) di competenza del
proprietario di un immobile: quando quest'ultimo decide di affittare,
vendere o
comunque cedere il bene di sua proprietà è obbligato a
farne, entro 48 ore, la
denuncia in Questura. È necessario compilare un foglio in
duplice copia
(una per la questura, una per l'autorità locale di pubblica
sicurezza) in cui
riportare i propri dati, quelli dell'inquilino e quelli dell'immobile.
Occorre
quindi ricordarsi di chiedere all'inquilino copia dei documenti di
identità
validi con relativo numero e data di rilascio (è sufficiente
fare la fotocopia
fronte-retro della carta d'identità).
Per effettuare la presentazione materiale della denuncia non esiste una
regola
univoca e precisa. In alcune città la si presenta direttamente
all'Ufficio
della Questura competente per territorio, nelle piccole città o
nei paesi la si
può presentare alla Polizia Municipale oppure all'Ufficio
Anagrafe o a quello
Protocollo del Comune in cui è situato il proprio immobile. Se
si risiede
lontano, è possibile spedirla anche per posta, tramite
raccomandata con
ricevuta di ritorno.
4 - LOCAZIONI
NON
ABITATIVE
Le locazioni
non
abitative sono regolate da norme diverse rispetto a quelle previste per
le
abitazioni. La nuova legge sulle locazioni (n. 431/1998), infatti, non
si
riferisce a questo tipo di immobili, che pertanto continuano ad essere
disciplinati dalla legge sull'equo canone (n. 392/1978). L'art. 27 di
tale
legge individua alcune tipologie di rapporti locativi non abitativi al
fine
precipuo di determinare la durata minima del relativo contratto. Tale
disposizione contempla innanzi tutto le locazioni di immobili da
adibire ad
attività industriali, commerciali e artigianali, alle
attività di interesse
turistico, comprese nell'art. 2 della Legge 12 marzo 1968, n. 326, e
all'esercizio abituale e professionale di qualsiasi attività di
lavoro autonomo
(sono da considerare inoltre anche le locazioni di immobili adibiti ad
attività
particolari). Le tipologie contrattuali più frequenti e
ricorrenti nella
pratica sono quelle legate alle attività industriali,
commerciali e
artigianali. La nozione delle attività in parola si ricava dal
Codice Civile e
dalle leggi speciali. La normativa sull'equo canone disciplina quindi
anche il
diritto di prelazione e riscatto, la sublocazione e la cessione del
contratto e
la successione nel contratto.
Locazioni
commerciali
Per la
regolamentazione
delle locazioni commerciali si adottano norme differenti rispetto a
quelle
previste per le abitazioni. La nuova legge sulle locazioni (n.
431/1998),
infatti, non si riferisce a questo tipo di contratti, che pertanto
continuano
ad essere disciplinati dalla legge sull'equo canone (n. 392/1978).
La definizione di attività commerciale in senso stretto, quella
che il Codice
Civile chiama "attività intermediaria nella circolazione dei
beni",
si ricava dalla Legge 11 giugno 1971, n. 426, intitolata "Disciplina
del
Commercio".L'art. 1 della tale legge dispone, tra l'altro: "....Agli
effetti della presente legge, esercita: 1) l'attività di
commercio
all'ingrosso, chiunque professionalmente acquista merci a nome e per
conto
proprio e le rivende ad altri commercianti, grossisti o dettaglianti o
utilizzatori
professionali o ad altri utilizzatori in grande. Tale attività
può assumere la
forma di commercio interno di importazione o di esportazione; 2)
l'attività di
commercio al minuto, chiunque professionalmente acquista merci a nome e
per
conto proprio e le rivende, in sede fissa o mediante altre forme di
distribuzione, direttamente al consumatore finale; 3) l'attività
di
somministrazione di alimenti o bevande, chiunque professionalmente
somministra,
in sede fissa o mediante altra forma di distribuzione, alimenti o
bevande al
pubblico". Lo stesso articolo precisa poi che è vietato
esercitare
congiuntamente, nello stesso punto vendita, le attività di
commercio al minuto
e all'ingrosso (salve alcune eccezioni specificamente elencate dalla
norma) e
che le merci possono essere rivendute sia nello stato in cui sono state
acquistate sia dopo che siano state sottoposte ad abituali trattamenti
o
modificazioni.
È molto utile conoscere i punti-cardine dei contratti d'affitto
commerciali.
Il contratto dura sei anni (nove nel caso di alberghi) ed è
rinnovabile
automaticamente (ma solo alla prima scadenza) di altri sei (o nove), a
meno che
non siano presenti situazioni tali da rendere possibile il rifiuto del
rinnovo
da parte del proprietario.
L'importo del canone viene fissato liberamente all'inizio del rapporto
d'affitto e può essere rivisto solo alla scadenza del contratto,
se si intende
rinnovarlo. L'aggiornamento annuale del canone non è automatico
come nelle
locazioni abitative, ma si verifica solo se è stato
espressamente previsto
nell'accordo (in ogni caso, il ritocco deve essere contenuto
all'interno del
75% dell'indice ISTAT di variazione del costo della vita).
La disdetta va inviata 12 mesi prima della scadenza per i contratti a
sei anni
e 18 mesi prima per i contratti della durata di nove anni. Al primo
rinnovo, la
disdetta può essere inviata solo se ricorre uno dei seguenti
casi:
- il proprietario desidera adibire i locali affittati a propria
abitazione;
- il proprietario vuole svolgervi un'attività o intende demolire
la
costruzione.
Gli immobili presso i quali hanno sede attività che prevedono un
contatto
diretto con il pubblico (per esempio, negozi o botteghe artigiane)
godono di
alcuni diritti speciali, come la prelazione dell'inquilino in caso di
vendita
dell'immobile (una possibilità che non esiste nei contratti
abitativi), la
possibilità di cedere il contratto e quella di sublocare
l'immobile, se ceduto
insieme all'azienda.
Infine, l'inquilino che è stato privato dei locali che aveva
preso in affitto
ha diritto a una indennità d'avviamento pari a 18
mensilità (21 per gli
alberghi), oltre a una indennità integrativa se da chiunque
altro, in quegli
stessi locali, viene svolta la sua medesima attività (Legge n.
392/1978).
A seconda del contratto, le locazioni possono essere assoggettate ad
IVA o ad
imposta di registro, tasse pagate in ogni caso dall'inquilino.
Locazioni
industriali
Relativamente
all'attività industriale, l'art. 2195 del Codice Civile, al n 1,
definisce tale
attività "diretta alla produzione di beni e servizi".
La disposizione si riferisce innanzi tutto ad ogni attività, di
carattere non
agricolo e non artigiano, volta alla trasformazione della materia,
oltre a
tutte quelle attività che, non comportando trasformazione della
materia, si
risolvono nella creazione e, quindi nella fornitura, di un servizio (si
pensi
alle imprese di leasing, a quelle di factoring, alle case di cura, agli
istituti di istruzione, alle imprese di trasporto, a quelle
assicurative ecc.).
Come per le locazioni di natura commerciale, la legge che disciplina i
contratti d'affitto industriali, non abitativi, è quella
sull'equo canone
(Legge n. 392/1978).
Locazioni
artigiane
Anche per
l'impresa artigiana esiste una
definizione legale. La normativa vigente definisce artigiana l'impresa
che
abbia per scopo prevalente lo svolgimento di un'attività di
produzione di beni,
anche semilavorati, o di prestazioni di servizi, escluse le
attività agricole e
le attività di prestazione di servizi commerciali, di
intermediazione nella
circolazione dei beni o ausiliarie di queste ultime, di
somministrazione al
pubblico di alimenti e bevande, salvo il caso che siano solamente
strumentali e
accessorie all'esercizio dell'impresa.
È artigiana l'impresa che è costituita ed esercitata in
forma di società, anche
cooperativa, escluse le società a responsabilità limitata
e per azioni e in
accomandita per azioni, a condizione che la
maggioranza dei soci, ovvero uno nel caso di due soci, svolga in
prevalenza
lavoro personale, anche manuale, nel processo produttivo e che
nell'impresa il
lavoro abbia funzione preminente sul capitale.
È, altresì, artigiana l'impresa che:
a) è costituita ed esercitata in forma di società a
responsabilità limitata con
unico socio, sempre che il socio unico sia in possesso dei requisiti
indicati
dalla legge e non sia unico socio di altra società a
responsabilità limitata o
socio di una società in accomandita semplice;
b) è costituita ed esercitata in forma di società in
accomandita semplice,
sempre che ciascun socio accomandatario sia in possesso dei requisiti
indicati
dalla legge e non sia unico socio di una società a
responsabilità limitata o
socio di altra società in accomandita semplice.
In caso di trasferimento per atto tra vivi della titolarità
delle società,
l'impresa mantiene la qualifica di artigiana purché i soggetti
subentranti
siano in possesso dei requisiti previsti dalla legge.
L'impresa artigiana può svolgersi in luogo fisso, presso
l'abitazione
dell'imprenditore o di uno dei soci o in appositi locali o in altra
sede
designata dal committente oppure in forma ambulante o di posteggio. In
ogni
caso, l'imprenditore artigiano può essere titolare di una sola
impresa
artigiana".
Le locazioni di questi tipo sono regolate dalla Legge n. 392/1978
sull'equo
canone alla stregua di quelle di natura commerciale.
Locazioni di
immobili
adibiti ad Attività abituale e professionale di lavoro autonomo
Nella
definizione di
"attività abituali e professionali di lavoro autonomo" si
intendono
comprese tutte quelle attività lavorative autonome, diverse da
quelle
"imprenditoriali" di carattere commerciale, artigianale e
industriale, che vengano svolte professionalmente, cioè in modo
non episodico e
occasionale, ma con abitualità. Le attività
libero-professionali, infatti, non
sono considerate dalla legge "imprenditoriali", fatta salva l'ipotesi
di cui all'art. 2238 del Codice Civile, il quale qualifica
imprenditoriale
l'esercizio della professione che costituisca solo uno degli elementi
di
un'attività organizzata in forma di impresa (l'esempio classico
è quello del
medico che opera all'interno della clinica di cui è titolare).
La professionalità non presuppone necessariamente l'iscrizione
del soggetto
economico in albi, ruoli o registri, potendo la stessa ravvisarsi anche
nel
soggetto che svolga attività di tipo artistico o letterario (per
esempio, gli
studi dei pittori, degli scultori o degli scrittori). Inoltre, come
è stato
ribadito più volte dalla
giurisprudenza, "né la lettera né lo spirito della legge
consentono di
escludere dal novero delle attività professionali di cui
all'art. 27, Legge n.
392/1978 quelle che non siano rigorosamente liberali (avvocati, medici,
ingegneri, ecc.), bensì siano di più recente
organizzazione (quali quelle dei
biologi, dei geologi, dei consulenti del lavoro, quelle cosiddette
paramediche
ecc.)".
Locazione di
immobili
adibiti ad attività particolari
La disciplina
della
Legge n. 392/1978 è applicabile anche alle locazioni di immobili
utilizzati
dal
conduttore per l'esercizio di attività diverse da quelle
previste dall'art. 27,
caratterizzate dalla funzione "sociale" in senso lato delle
attività
stesse, ovvero dalla particolare natura soggettiva del conduttore.
Rispetto
alle locazioni di immobili nei quali si svolgono attività
propriamente
imprenditoriali, la tutela legale delle suddette locazioni è
minore. L'art. 42
della Legge n. 392/1978 sull'equo canone dispone al riguardo che i
contratti di
locazione di immobili urbani adibiti ad attività ricreative,
assistenziali,
culturali e scolastiche, nonché a sede di partiti o di
sindacati, e quelli
stipulati dallo Stato o da altri enti pubblici territoriali in
qualità di
conduttori, hanno la durata di cui al primo comma dell'art.
Le attività prese in esame dalla norma riportata sopra
costituiscono una serie
eterogenea di servizi in alcuni casi (attività ricreative e
assistenziali) di
ambito talmente indefinito da non consentire alcuna classificazione o
una
precisa individuazione. Anche la giurisprudenza ha peraltro
interpretato la
disposizione in maniera elastica e la casistica che ne risulta è
quanto mai
variegata.
L'esercizio di un impianto sportivo può rientrare nel novero
delle attività
ricreative solo nel caso in cui non abbia fine di lucro e le
attività vengano
organizzate ai fini della produzione di un servizio.
L'esatta individuazione delle attività di tipo assistenziale
è invece
estremamente complicata. La dottrina e la giurisprudenza hanno
riconosciuto la
natura assistenziale di molteplici attività. La casistica,
prodottasi
soprattutto in giurisprudenza, è decisamente vasta. In alcuni
casi siamo di
fronte a
un'interpretazione molto ampia della norma dell'art. 42 e alla stregua
di tali
interpretazioni è possibile riconoscere natura assistenziale
alle attività
svolte da molti enti e numerose associazioni di carattere pubblico o
privato
che operano nei più vari settori dei volontariato,
dell'assistenza medica,
della sicurezza sociale.
Vi sono anche delle sentenze che pervengono a interpretazioni opposte
della
norma con riferimento alla medesima attività.
In relazione alle attività culturali e, in particolare a quelle
scolastiche, si
rileva che l'attività didattica rientra nella previsione
dell'art. 42 solo se
viene svolta senza fine di lucro. Nel caso in cui, infatti,
l'attività
didattica venga organizzata in modo imprenditoriale, il fenomeno
rientra nelle
attività industriali o commerciali (è il caso, per
esempio, anche dell'attività
svolta dalle autoscuole).
5 - DIRITTO DI
PRELAZIONE E DI RISCATTO
Sulla base del
principio
di salvaguardia delle attività produttive, la legge stabilisce
per il
conduttore di un immobile il diritto di prelazione sia sulla
compravendita
dell'immobile affittato, sia sulla nuova, eventuale locazione dello
stesso.
Tale diritto è sancito dagli articoli 38 e 40 della Legge n.
392/1978. L'art.
39 disciplina invece l'esercizio, da parte dell'inquilino, del diritto
di
riscatto dell'immobile venduto non rispettando la normativa sulla
prelazione di
cui all'art. 38.
Le uniche due eccezioni al principio affermato al primo comma dell'art.
38
(diritto di prelazione dell'inquilino) sono previste all'ultimo comma
del
suddetto articolo: il principio è inapplicabile nelle ipotesi di
prelazione
ereditaria prevista all'art. 732 del Codice Civile e nell'ipotesi di
trasferimento effettuato a favore del coniuge o dei parenti entro il
secondo
grado.
Secondo i giudici di legittimità, la prelazione è inoltre
esclusa allorquando
il conduttore sia la pubblica amministrazione.
In relazione all'ambito di vigenza dell'articolo 38, occorre osservare
in primo
luogo che la prelazione spetta solo laddove il locatore (inteso come il
proprietario) intenda trasferire l'immobile a titolo oneroso (si
escludono
quindi i trasferimenti a titolo gratuito, cioè le donazioni). Il
trasferimento
della proprietà deve peraltro essere volontario e non deve
trattarsi di una
vendita coatta. Un'altra ipotesi di esclusione si verifica quando il
locatore
decide di procedere alla permuta dell'immobile locato. Il diritto di
prelazione
non spetta neppure al conduttore fallito e quindi il locatore non
è tenuto a
inviare al conduttore stesso o al curatore fallimentare alcuna
comunicazione ai
fini dell'esercizio della prelazione.
Al fine di consentire al conduttore l'esercizio del diritto di
prelazione, il
locatore deve fornire all'inquilino una comunicazione formale in merito
alla
sua intenzione di vendere l'immobile. Tale comunicazione deve essere
notificata
tramite l'ufficiale giudiziario. Il contenuto della comunicazione
è previsto al
comma 2 dell'art. 38 della Legge n. 392/1978. Devono essere indicati:
il
corrispettivo della vendita, da quantificarsi in denaro, le altre
condizioni
alle quali la vendita dovrebbe essere conclusa (tempi per la stipula
dei
contratto definitivo e dell'eventuale preliminare, modalità e
termini dei
pagamento ecc.) e l'invito a esercitare o meno il diritto di
prelazione. La
mancanza delle indicazioni richieste dalla norma rende inefficace la
comunicazione.
Se il conduttore intende esercitare il diritto di prelazione, deve
fornire
comunicazione di ciò al proprietario, notificandogli, a mezzo di
Ufficiale
Giudiziario, un apposito atto nel quale formalmente offre condizioni
uguali a
quelle che gli sono state comunicate. Il termine per esercitare tale
diritto è,
a pena di
decadenza, di 60 giorni dalla ricezione della comunicazione dei
proprietario
(art. 38, comma 3).
Non si può considerare valida la dichiarazione di accettazione
che contenga
offerte differenti rispetto a quelle formulate dal proprietario. Il
comma 4
dell'art. 38 stabilisce che "ove il diritto di prelazione sia
esercitato,
il versamento del prezzo di acquisto, salvo diversa condizione indicata
nella
comunicazione del locatore, deve essere effettuato nel termine di
trenta giorni
decorrenti dal sessantesimo giorno successivo a quello dell'avvenuta
notificazione della comunicazione da parte del proprietario,
contestualmente
alla stipulazione del contratto di compravendita o del contratto
preliminare".
I commi successivi del suddetto articolo stabiliscono norme relative ai
casi in
cui il diritto di prelazione competa a una pluralità di
conduttori.
Oltre alla prelazione nel caso di vendita dell'immobile,
Non beneficia della prelazione il conduttore receduto dal contratto
(anche se
lo stesso si è risolto per inadempimento del conduttore
medesimo) e l'inquilino
sottoposto a procedura concorsuale. Complessivamente si tratta di una
tutela
legale (art. 40) molto blanda, comunque senz'altro meno incisiva della
prelazione sull'acquisto dell'immobile. Infatti, gli obblighi del
locatore che
intenda affittare a terzi l'immobile si concretizzano essenzialmente
nella
comunicazione al conduttore delle offerte di affitto ricevute. In
assenza di
offerte l'obbligo in parola non sussiste. La norma si rivela quindi
facilmente
eludibile, considerato che per l'inquilino non è possibile
sapere se
effettivamente il locatore abbia ricevuto le offerte in questione.
Se il locatore riceve offerte di terzi che lo inducono a ritenere
conveniente
la nuova locazione dell'immobile è tenuto a comunicare tali
offerte al
conduttore, mediante raccomandata con avviso di ricevimento, almeno
sessanta
giorni prima della scadenza del contratto.
Qualora il conduttore intenda esercitare la prelazione sulla nuova
locazione,
deve, a sua volta, comunicare mediante raccomandata con avviso di
ricevimento
indirizzata al locatore la sua offerta (che deve essere uguale a quella
che gli
è stata comunicata dal locatore). L'offerta del conduttore deve
pervenire al
locatore entro 30 giorni dalla ricezione della comunicazione del
locatore
stesso.
L'inadempimento del locatore agli obblighi previsti dall'art. 40
comporta
l'obbligo dei risarcimento del danno subito dal conduttore.
L'inquilino può rientrare nella detenzione dell'immobile, solo
se questo non
risulta già occupato dal nuovo conduttore, rivolgendosi al
giudice.
L'ultimo comma dell'art. 40 dispone che il conduttore conserva il
diritto di
prelazione anche "nel caso in cui il contratto tra il locatore e il
nuovo
conduttore sia sciolto entro un anno, ovvero quando il locatore abbia
ottenuto
il rilascio dell'immobile non intendendo locarlo a terzi, e, viceversa,
lo
abbia concesso in locazione entro i sei mesi successivi".
Nella prima ipotesi, il vecchio conduttore potrà legittimamente
richiedere al
locatore di stipulare un contratto dal contenuto identico a quello
scioltosi
entro l'anno. Nella seconda ipotesi, il conduttore potrà
pretendere solo il
risarcimento del danno subito in dipendenza dell'inadempimento del
locatore.
L'art. 39 attribuisce al conduttore il diritto di riscattare l'immobile
venduto
a terzi in caso di inosservanza da parte del venditore, ex locatore,
della
disciplina in materia di prelazione al conduttore. La norma è
quindi correlata
alla normativa dell'art. 38 del quale garantisce la compiuta
applicazione. In
generale il diritto di riscatto consente al conduttore di sostituirsi
all'acquirente, diventandone proprietario in luogo di questi, dietro il
versamento (rimborso) all'acquirente stesso del prezzo pagato.
L'art. 39 ammette l'esercizio del diritto di riscatto:
a) nell'ipotesi in cui il proprietario non provveda alla comunicazione
al
conduttore dell'intenzione di vendere l'immobile locato,
b) nel caso in cui il corrispettivo indicato nella comunicazione di cui
sopra
sia superiore a quello risultante dall'atto di trasferimento.
Se il proprietario ha venduto l'immobile dopo aver effettuato la
comunicazione
al conduttore ma prima che questi abbia potuto esercitare la prelazione
sull'acquisto, al conduttore compete il diritto di riscatto solo
laddove a suo
tempo abbia comunicato al proprietario la volontà di esercitare
la prelazione.
Il diritto di riscatto deve essere esercitato, a pena di decadenza,
entro sei
mesi dalla trascrizione dell'atto di vendita. Occorre sottolineare
l'importanza
per il conduttore di rispettare il termine previsto a pena di
decadenza,
giacché per nessun motivo si ammette che il diritto di riscatto
possa essere esercitato
oltre il suddetto termine, quali che siano le ragioni dei ritardo.
Il conduttore che esercita il diritto di riscatto deve versare il
prezzo
all'acquirente retrattato entro tre mesi. Tale termine ha una
decorrenza
variabile a seconda che vi sia o meno opposizione alla domanda di
riscatto. In
assenza di opposizione, i tre mesi decorrono infatti o dalla prima
udienza del
relativo giudizio (quando cioè in sede processuale si constata
che l'acquirente
non intende opporsi alla domanda attrice), oppure, prima di tale
udienza, dalla
data di notificazione al conduttore-attore della comunicazione di non
opposizione al riscatto fatta dall'acquirente-convenuto. Quando invece
l'acquirente si oppone alla domanda di riscatto, il termine trimestrale
decorre
dal giorno del passaggio in giudicato della sentenza che definisce il
giudizio.
Sul versamento del prezzo si ritiene che all'interno di quest'ultimo
non
debbano essere comprese né le spese notarili né gli altri
oneri accessori
relativi al contratto stipulato tra il retrattato e il venditore
6 -
SUBLOCAZIONE E
CESSIONE DEL CONTRATTO
Le questioni
relative
alla sublocazione e alla cessione del contratto di locazione sono
regolamentate
dall'art. 1594 del Codice Civile. Secondo la norma codicistica la
sublocazione
dell'immobile è sempre ammessa, a meno che le parti non la
escludano
espressamente in sede di conclusione del contratto. La cessione del
contratto,
invece, non può avvenire in assenza del consenso preventivo
relativo alla
cessione stessa. Tale consenso può anche essere tacito e,
inoltre, può essere
espresso già in fase di conclusione del contratto.
La cessione del contratto e la sublocazione dell'immobile effettuate
senza il
consenso del locatore costituiscono specifici inadempimenti del
conduttore e
consentono al locatore di chiedere la risoluzione dei contratto
vanificando i
rapporti illegittimamente posti in essere dal conduttore.
Il conduttore deve comunicare al locatore la cessione del contratto di
locazione o la sublocazione dell'immobile. È senz'altro
preferibile che la
comunicazione venga effettuata a mezzo di lettera raccomandata con
ricevuta di
ritorno e ciò anche se nessuna norma imponga tale
formalità. Si ammette infatti
l'impiego di mezzi diversi per l'informativa in questione purché
si possa efficacemente
dimostrare che il locatore ha avuto conoscenza dell'atto con il quale
si è
trasferita la detenzione dell'immobile a soggetto diverso
dall'originario
conduttore.
Tale comunicazione deve essere piuttosto dettagliata e contenere tutti
gli
elementi che valgano ad identificare la persona di colui che viene a
subentrare
nel godimento dell'immobile e il titolo in forza dei quale si realizza
tale
subentro.
Dal ricevimento della comunicazione, il locatore può, entro
trenta giorni,
opporsi per gravi motivi all'accordo intervenuto tra il conduttore e il
terzo.
I "gravi motivi" che giustificano l'opposizione del locatore devono
riguardare la persona del nuovo conduttore.
Laddove il locatore che si oppone alla cessione del contratto di
locazione (o
alla sublocazione dell'immobile), risulti vittorioso nel relativo
giudizio, il
rapporto di locazione principale verrà risolto per inadempimento
dell'originario conduttore (il quale ha illegittimamente ceduto o
sublocato
l'immobile) e il rapporto derivato (di cessione o di sublocazione)
perderà,
conseguentemente, ogni efficacia.
7 -
L'art. 37
della Legge n.
392/1978 disciplina i diversi casi nei quali può avvenire la
successione nella
conduzione dell'immobile locato (oltre alle ipotesi di cessione o di
affitto di
azienda previste all'art. 36). Il primo comma dell'art. 37 prevede che,
in caso
di morte del conduttore, coloro che hanno diritto a proseguire
nell'attività
(per successione o per un rapporto precedente risultante da un atto di
data
certa anteriore all'apertura della successione) gli succedano nel
contratto.
La successione mortis causa costituisce un'eccezione alla regola,
poiché il
rapporto di conduzione, basato sulle qualità personali del
conduttore, non
rientra tra i rapporti che è possibile trasmettere agli eredi.
L'obiettivo è
quello della salvaguardia dell'attività di natura economica
esercitata
nell'immobile affittato. Possono infatti succedere al defunto solo
coloro che
hanno diritto a proseguire nell'attività dell'inquilino
deceduto. Si tratta,
praticamente, di una successione aziendale. In caso contrario non
è possibile
realizzare una successione nel contratto.
Il diritto a succedere nella conduzione dell'immobile viene
riconosciuto, oltre
agli eredi legittimi e testamentari, a coloro che abbiano acquisito il
diritto
alla prosecuzione dell'attività per atto certo precedente
all'apertura della
successione.
Esiste inoltre un caso particolare di successione legale nella
locazione ad uso
commerciale, disciplinato dal secondo comma dell'art. 37: si tratta
della
disciplina applicabile nelle ipotesi di separazione e di divorzio. Il
principio
alla base della norma è sempre quello della salvaguardia della
continuità
aziendale; viene quindi tutelato il coniuge che esercitava
l'attività economica
con l'altro coniuge già prima della separazione.
Anche i soci e i condividendi l'uso dell'immobile possono, sulla base
del
quarto comma del suddetto articolo, succedere al conduttore receduto,
purché
ricorrano i presupposti legali stabiliti dal comma 3. È previsto
però che il
locatore possa opporsi alla successione del contratto da parte degli
aventi
diritto, ove ricorrano gravi motivazioni (vedi art. 36).
8 - I CONTRATTI
I CONTRATTI
CONVENZIONATI
Esistono diversi tipi di affitto e la prima distinzione da fare
è quella tra
locazione a uso abitativo e locazione a uso diverso, vale a dire
riguardante
attività commerciali e altro. All'interno della categoria dei
contratti
d'affitto per uso abitazione si annoverano diversi tipi degli stessi:
la
riforma delle locazioni ha sostituito ai vecchi contratti a equo canone
e ai
patti in deroga due nuove tipologie di contratto, quello libero e
quello
regolato. A essi si aggiungono locazioni stipulate per uso transitorio
o
turistico. Questi sono i tre tipi di contratto previsti dalla nuova
legge sulle
locazioni. La locazione ad uso diverso riguarda, invece, l'uso
commerciale per
negozi, uffici, studi professionali ecc.
In relazioni agli affitti per uso abitativo occorre aggiungere che i
vecchi
contratti restano comunque in vigore, laddove già stipulati,
fino alla loro
naturale estinzione (quattro anni per l'equo canone, otto anni per il
patto in
deroga).
I due tipi principali di contratto di affitto introdotti dalla riforma
delle
locazioni (Legge n. 431/1998) sono i seguenti: un contratto d'affitto
libero
nel canone ma con durata di quattro anni (più quattro di
rinnovo) e uno
regolato da accordi tra le associazioni dei proprietari e quelle degli
inquilini, su impulso dell'amministrazione comunale, con durata di tre
anni
(più due di rinnovo).
Per essere validi, devono essere entrambi stilati in forma scritta. I
proprietari che scelgono il contratto regolato beneficiano di
agevolazioni
fiscali: uno sconto sull'IRPEF e sull'imposta di registro, oltre a una
riduzione dell'ICI che può essere decisa dai singoli Comuni. Per
gli inquilini
con bassi redditi, a partire dal 2001, è previsto uno sconto
dell'IRPEF grazie
all'istituzione di un fondo nazionale di 1800 miliardi, in cui
confluiranno
anche i fondi ex Gescal. La riforma prevede poi una serie di norme
antievasione. Per esempio, senza la registrazione del contratto sia i
proprietari sia gli inquilini non potranno usufruire dei benefici
fiscali. È
importante sottolineare che lo sconto IRPEF si applica solo ai
residenti nei
Comuni ad alta tensione abitativa.
Come prevede l'art. 1 della succitata legge di riforma, le nuove
tipologie di
contratto si applicano a tutte le locazioni stipulate dopo l'entrata in
vigore
della legge (30 dicembre 1998) ad esclusione di quelle aventi per
oggetto case
popolari, alloggi affittati per turismo, case gestite dagli enti locali
in
qualità di conduttore per soddisfare esigenze abitative
transitorie. Per gli
immobili vincolati di valore storico e artistico, le abitazioni di tipo
signorile (categoria catastale A/1), le ville (categoria catastale A/8)
e le
abitazioni di lusso (categoria catastale A/9), le parti possono
scegliere se
applicare il canale regolato della nuova normativa con i relativi
benefici
fiscali, oppure, avvalersi delle regole del libero mercato.
Per qualsiasi tipo di contratto si opti è importante ricordare
che nella parte
descrittiva esso deve contenere tutti gli elementi e i riferimenti
documentali
e informativi sulla classificazione catastale, le tabelle millesimali,
lo stato
degli impianti e delle attrezzature tecnologiche anche in relazione
alle
normative sulla sicurezza nazionale e comunitaria, nonché una
clausola che
faccia riferimento alla reciproca autorizzazione al trattamento dei
dati in
base alla normativa sulla privacy. Anche negli altri tipi di contratto
è
consigliabile (seppure non obbligatorio) inserire tutte queste
informazioni,
tanto che il facsimile del contratto libero concordato tra le
associazioni
della proprietà e i sindacati degli inquilini ne prevede
l'elencazione.
La determinazione dei canoni di locazione a livello territoriale
è stata
stabilita sulla base della Convenzione nazionale convocata dal Ministro
dei
lavori pubblici con rappresentanze delle organizzazioni della
proprietà
edilizia e dei conduttori. Tale Ministro, di concerto con quello delle
finanze,
ha emesso successivamente un decreto (D. M. 5 marzo 1999) che ha
formalizzato e
reso attuative le delibere della suddetta Convenzione.
IL CONTRATTO LIBERO
Il primo canale di locazione (come prevede
Sono nulli gli accordi che prevedono qualsiasi obbligo in contrasto con
le
disposizioni di legge nonché qualsiasi clausola o vantaggio
economico diretto
ad attribuire al proprietario un canone superiore a quello stabilito
nel
contratto. Qualora ci si trovasse di fronte a situazioni del genere,
l'inquilino può chiedere (effettuando istanza al Tribunale) che
l'affitto sia
ricondotto negli ambiti di legge con la possibilità di
riottenere le somme
pagate in eccesso (almeno sei mesi prima della riconsegna). È
utile disporre di
un facsimile del contratto-tipo.
IL CONTRATTO REGOLATO
Il secondo tipo di contratto (in base alla Legge n. 431/1998,
art.
2, comma
3), al contrario di quello libero, non consente piena libertà
nella
determinazione del canone, però prevede, in cambio, una durata
inferiore (tre
anni più due di rinnovo) e la possibilità di ottenere
alcune agevolazioni
fiscali. Proprietari e inquilini, dunque, possono certamente concordare
il
prezzo dell'affitto, ma all'interno di fasce di canone predeterminate.
Risulta nulla ogni eventuale pattuizione volta ad attribuire al
proprietario un
canone superiore a quello massimo definito dagli accordi territoriali
per gli immobili
appartenenti alle medesime tipologie. Anche in questo caso l'inquilino
può
chiedere (mediante istanza al Tribunale) che l'affitto sia ricondotto
negli
ambiti di legge con la possibilità di riottenere le somme pagate
in eccesso
(almeno sei mesi prima della riconsegna).
Ogni due anni, le associazioni della proprietà e degli
inquilini, insieme al
Comune, stabiliscono, a livello locale, fasce di oscillazione del
canone di
affitto all'interno delle quali, secondo le caratteristiche
dell'immobile e
dell'unità immobiliare, potrà essere concordato tra le
parti il canone per i
singoli contratti.
A tale scopo, nei Comuni ad alta tensione abitativa vengono individuate
le aree
con caratteristiche omogenee per valori di mercato, dotazioni
infrastrutturali
(trasporti, verde pubblico, servizi scolastici e sanitari,
infrastrutture
commerciali ecc.), tipi edilizi (tenendo conto delle categorie e classi
catastali). Ad ognuna di tali aree corrispondono un valore minimo e uno
massimo
di canone al metro quadrato.
Una volta individuata la fascia di oscillazione relativa alla zona
dell'immobile oggetto del contratto, il proprietario e l'inquilino
fissano il
canone effettivo. Nell'effettuare tale operazione devono tenere conto
anche dei
seguenti elementi: tipologia dell'alloggio; pertinenze dell'alloggio
(posto
auto, box , cantina ecc.); stato manutentivo dell'alloggio e
dell'intero
stabile; presenza di spazi comuni (aree comuni, cortili, aree a verde,
impianti
sportivi interni ecc.); dotazione di servizi tecnici (ascensore,
riscaldamento
autonomo o centralizzato, condizionamento d'aria, ecc.); degrado
urbano;
eventuale dotazione di mobilio.
È molto importante anche avere informazioni precise in relazione
alle
agevolazioni di natura fiscale previste dalla nuova legge sulle
locazioni.
Gli sconti fiscali riguardano sia il proprietario sia l'inquilino che
aderiscono al contratto regolato, sempre che l'immobile sia situato nei
Comuni
ad alta tensione abitativa.
È stato inoltre istituito un fondo sociale per gli inquilini
meno abbienti al
quale i Comuni ad alta tensione abitativa potranno attingere anche per
iniziative specifiche a sostegno dell'emergenza abitativa: convenzioni
con
cooperative edilizie per la locazione, agenzie o istituti per la
locazione ecc.
(vedi D.M. 7 giugno 1999).
Per le locazioni di questo tipo (il contratto regolato), viene
elaborato e
depositato in Comune il contratto-tipo, da utilizzare rispettando le
seguenti
condizioni:
-rinnovo tacito in mancanza di disdetta;
-previsione, nel caso che il proprietario abbia riacquistato l'alloggio
a
seguito di illegittimo esercizio della disdetta ovvero non lo adibisca
agli usi
per i quali ha esercitato la facoltà di disdetta, di un
risarcimento in misura
non inferiore a trentasei mensilità dell'ultimo canone;
-facoltà di recesso da parte dell'inquilino per gravi
motivi;
-previsione, ove le parti lo concordino, di prelazione a favore del
conduttore
in caso di vendita dell'immobile;
-possibilità, in sede di accordi locali, di prevedere
l'aggiornamento del
canone in misura contrattata e comunque non superiore al 75% della
variazione
ISTAT;
-modalità di consegna dell'alloggio con verbale o comunque con
descrizione
analitica dello stato di conservazione dell'immobile;
-produttività di interessi legali annuali sul deposito
cauzionale non superiore
alle tre mensilità;
-esplicito richiamo ad accordi sugli oneri accessori ai fini della
ripartizione
tra le parti e in ogni caso richiamo ad accordi sugli oneri accessori
ai fini
della ripartizione e alle disposizioni della Legge n. 392/1978,
articoli 9 e
10;
-previsione di una commissione conciliativa stragiudiziale
facoltativa.
I CONTRATTI PER USO TEMPORANEO
La legge di riforma delle locazioni (n. 431/1998) e il
successivo
decreto
interministeriale del 5 marzo 1999 hanno apportato modifiche alla
disciplina
dei contratti ad uso temporaneo e in particolare a quelli cosiddetti
transitori. Il primo luogo l'uso transitorio è stato inserito
nel cosiddetto
secondo canale e quindi per affittare un'abitazione per un tempo
limitato, in base
alle esigenze delle parti, si devono utilizzare contratti speciali.
In particolare, è stato creato un contratto specifico per la
locazione a
studenti universitari fuori sede sulla base dei contratti a prezzo
calmierato.
Ciò non toglie che un inquilino studente universitario possa
rivolgersi anche
al mercato dell'affitto normale, stipulando un altro tipo di contratto
ad uso
abitativo.
È stato interamente liberalizzato l'uso turistico, che viene
quindi regolato
esclusivamente dalle norme del Codice Civile (art. 1571 e seguenti). In
relazione all'uso foresteria, invece, esistono dubbi rispetto al fatto
che il
contratto si possa stipulare solo in base al Codice Civile oppure, con
maggiori
probabilità, debba rientrare nella nuova normativa.
Tra gli usi temporanei risulta utile fornire alcune informazioni anche
in
relazione al contratto di comodato, anche se non si tratta di vera e
propria
locazione; non è infatti disciplinato dalla nuova legge sugli
affitti ma
direttamente dal Codice Civile.
I CONTRATTI TRANSITORI
Chi utilizza un contratto transitorio non risiede nella casa
ma
semplicemente vi dimora, cioè vi si trattiene per il tempo
necessario.
I canoni di locazione, come per tutti i contratti del secondo canale,
sono
fissati sulla base delle fasce di oscillazione per aree omogenee, come
pure le
relative misure di aumento o di diminuzione relativamente alla durata
contrattuale, nonché i criteri di ripartizione degli oneri di
manutenzione.
Il contratto prevede una specifica clausola che individui l'esigenza
transitoria
del proprietario e dell'inquilino. Il proprietario è tenuto a
confermare i
motivi della transitorietà attraverso una lettera da inviare
all'inquilino
prima della fine del contratto. L'esigenza transitoria dell'inquilino
deve
essere provata mediante apposita documentazione da allegare al
contratto. Resta
da chiarire se l'esigenza transitoria del proprietario sia sufficiente
a
rendere valido un contratto transitorio.
Per questo tipo di contratti viene elaborato e depositato in Comune il
contratto-tipo da utilizzare basandosi sul facsimile nazionale e
rispettando le
seguenti condizioni:
- durata minima di un mese e massima di diciotto mesi;
- dichiarazioni del proprietario e dell'inquilino che esplicitino
l'esigenza
della transitorietà;
- onere per il proprietario di confermare prima della scadenza del
contratto i
motivi di transitorietà posti a base dello stesso;
- riconduzione del contratto all'articolo 2, comma 1, della Legge
431/98 in
caso di mancata conferma dei motivi, ovvero risarcimento pari almeno a
trentasei mensilità in caso di mancato utilizzo dell'immobile
rilasciato;
- previsione di una particolare ipotesi di transitorietà per
soddisfare
esigenze dell'inquilino che lo stesso deve documentare allegandole al
contratto;
- facoltà di recesso da parte dell'inquilino per gravi
motivi;
- esclusione della sublocazione;
- previsione, ove le parti lo concordino, di prelazione a favore
dell'inquilino
in caso di vendita dell'immobile;
- modalità di consegna con verbale o comunque con descrizione
analitica dello
stato di conservazione dell'immobile;
- produttività di interessi legali annuali sul deposito
cauzionale che non
superi le tre mensilità;
- esplicito richiamo ad accordi sugli oneri accessori ai fini della
ripartizione e in ogni caso richiamo alle disposizioni della Legge n.
392/1978,
artt. 9 e 10;
- previsione di una commissione conciliativa stragiudiziale
facoltativa.
Con la riconduzione dell'uso transitorio al canale regolato dalla Legge
n.
431/1998, tale tipologia, molto probabilmente, non verrà
più utilizzata per
mascherare contratti d'affitto residenziali di lunga durata.
Però rimane
importante specificare la condizione transitoria che spinge il
conduttore a
stipularlo. Infatti, se vengono meno le cause della
transitorietà, il contratto
prevede la riconduzione della durata a quella prevista dal primo canale
(quattro anni più quattro di rinnovo).
Sia il proprietario sia l'inquilino sono responsabili della
dichiarazione resa.
Il secondo non deve mentire circa le sue esigenze, il primo è,
invece, chiamato
ad accertarle e sottoscriverle in una lettera da inviare all'inquilino
prima
della scadenza del contratto.
Anche i contratti d'affitto per gli studenti universitari fuori sede
sono stati
inseriti nella riforma delle locazioni (Legge n. 431/1998, art. 5). Nei
Comuni
sede di Università o di corsi universitari distaccati,
nonché nei Comuni
limitrofi, gli accordi territoriali dovranno prevedere particolari
contratti-tipo per soddisfare le esigenze degli studenti universitari
fuori
sede, vale a dire iscritti ad un corso di laurea in un Comune diverso
da quello
di residenza (da specificare nel contratto).
Come per tutti i contratti del secondo canale, i canoni di locazione
vengono
definiti in accordi locali, come pure le relative misure di aumento o
di
diminuzione relativamente alla durata contrattuale, nonché i
criteri di
ripartizione degli oneri di manutenzione. I sottoscrittori di questo
contratto
possono beneficiare delle agevolazioni fiscali proprie del secondo
canale di
locazione.
I contratti avranno durata da sei mesi a tre anni e potranno essere
sottoscritti o dal singolo studente o da gruppi di studenti
universitari fuori
sede o dalle aziende per il diritto allo studio.
Per ogni contratto si potrà tenere conto della presenza di
mobilio, di
particolari clausole, delle eventuali modalità di rilascio.
Anche per questo tipo di contratti viene elaborato e depositato in
Comune il
contratto-tipo da utilizzare basandosi sul facsimile nazionale e
rispettando le
seguenti condizioni:
- durata minima di sei mesi e massima di trentasei mesi;
- rinnovo automatico salvo disdetta dell'inquilino;
- facoltà di recesso da parte dell'inquilino per gravi
motivi;
- facoltà di recesso parziale per il conduttore in caso di
pluralità di
conduttori;
- esclusione della sublocazione;
- modalità di consegna con verbale o comunque con descrizione
analitica dello
stato di conservazione dell'immobile;
- produttività di interessi legali annuali sul deposito
cauzionale che non
superi le tre mensilità;
- esplicito richiamo ad accordi sugli oneri accessori ai fini della
ripartizione tra le parti e richiamo alle disposizioni della Legge n.
392/1978,
artt. 9 e 10;
- previsione di una commissione conciliativa stragiudiziale
facoltativa.
CONTRATTO TURISTICO
La disciplina per gli immobili affittati "esclusivamente per
finalità
turistiche" è esclusa dalla riforma delle locazioni, come
specificato
nella stessa (Legge n. 431/1998, art. 1, commi 2 e 3). Di conseguenza,
bisogna
fare riferimento alle norme dettate dal Codice Civile.
Per affittare un appartamento per le vacanze non è necessario
rispettare alcuna
modalità per la stipula o la rinnovazione del contratto: la
forma scritta non è
obbligatoria (ma è assolutamente preferibile), la durata minima
è libera e la
disdetta è automatica al termine del periodo pattuito, senza
bisogno di alcuna
comunicazione da parte del proprietario o dell'inquilino.
Per contro, a queste locazioni è inapplicabile l'art. 7 della
Legge 431/98
sulle condizioni per la messa in esecuzione del provvedimento di
rilascio
dell'immobile, e restano esclusi anche dalle agevolazioni fiscali
proprie del
secondo canale basato sulla negoziazione di accordi locali tra le
associazioni
dei proprietari e quelle degli inquilini.
I CONTRATTI DI COMODATO E FORESTERIA
Il comodato di un appartamento è un contratto con il
quale
il proprietario
consegna un immobile gratuitamente (anche se possono essere fissati
modesti
oneri) a un soggetto affinché se ne serva per un tempo o per un
uso
determinato. Tale disposizione è regolata direttamente dal
Codice Civile (art.
1803 e seguenti) e si fonda su un rapporto di fiducia tra proprietario
e
inquilino.
Per dar vita al comodato è sufficiente la disponibilità
della casa. Non è
indispensabile la proprietà del bene, pertanto anche
l'usufruttuario può
concedere in comodato l'appartamento oggetto di usufrutto e non occorre
un
contratto scritto: è sufficiente un accordo verbale. Nel caso in
cui
l'inquilino sostenga delle spese per l'uso dell'abitazione, non ha
diritto al
rimborso. Egli ha però diritto a essere rimborsato delle spese
straordinarie,
se necessarie e urgenti.
Nel contratto di comodato può essere convenuta una scadenza per
la
restituzione, ma questo termine può anche essere anticipato, se
da parte del
proprietario sopravviene il bisogno dell'immobile. Qualora non sia
stato
fissato un termine, il comodatario è tenuto a restituire
l'alloggio non appena
il proprietario lo richiede.
Il comodato è un ottimo sistema per affidare un alloggio a un
parente o amico
stretto a condizione di assoluto vantaggio e con la certezza di poterlo
riavere
indietro in qualunque momento. Spesso però nasconde un contratto
d'affitto
remunerativo, non stipulabile apertamente. Se il finto comodato viene
scoperto
verranno messi a confronto i sacrifici e i vantaggi che hanno le parti.
Se gli oneri gravanti sull'inquilino sono tali da corrispondere a un
vero e
proprio canone per il godimento dell'immobile, si tratta di locazione e
non più
di comodato, con le relative conseguenze giuridiche a carico di
entrambe le
parti.
L'uso foresteria si verifica quando un'azienda, un ente o una
società prende in
locazione un'abitazione per destinarla ad un proprio dipendente. Fino
al
dicembre 1998 questa eventualità veniva regolata con contratti
specifici
esclusi dalla disciplina dell'equo canone. Attualmente è dubbio
se i contratti
a uso foresteria possano essere stipulati in base al Codice Civile o,
come
sembra più probabile, debbano rientrare nella nuova legge sulla
locazione,
scegliendo dunque all'interno degli schemi del contratto libero
(quattro anni
più quattro) o regolato (tre anni più due).
IL SUBAFFITTO TOTALE E PARZIALE
In base alle norme del Codice civile il subaffitto di parte
della
casa
(parziale) è sempre possibile a meno che non sia indicato
diversamente sul
contratto.
Il subaffitto totale, invece, necessita di un'autorizzazione del
proprietario,
da richiedersi preferibilmente con una raccomandata che indichi il nome
dell'inquilino e la durata del contratto.
9 - I
CONTRATTI
PREVISTI DALLA LEGGE SULLE LOCAZIONI
PRIMO
CANALE: CANONE
LIBERO
Durata: minimo 8 anni (4 + 4 di rinnovo automatico)
Canone: liberamente concordato tra inquilino e proprietario
Aggiornamenti canone: liberamente concordati nell'entità,
frequenza e procedura
Caparra: massimo 1 mese anticipato e 2 mesi di caparra*
Divisione oneri: secondo il Codice civile e l'art. 9 della legge
sull'equo
canone
Disdetta inquilino: con lettera raccomandata almeno 6 mesi prima della
data da
lui scelta; proprietario: con lettera raccomandata almeno sei mesi
prima della
scadenza (8 anni o dopo i primi 4)
Rinnovo automatico per altri 4 anni (se non c'è disdetta)
Sconti fiscali proprietario: 15% sul canone da denunciare sulla
dichiarazione
dei redditi; inquilino: stanziati fondi nella Finanziaria
SECONDO CANALE: CANONE REGOLATO
Durata: minimo 5 anni (3 + 2 di rinnovo automatico)
Canone: canone massimo da concordare tra le organizzazioni della
proprietà
edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative
Aggiornamenti canone: da concordare tra le organizzazioni della
proprietà
edilizia e dei conduttori maggiormente rappresentative
Caparra: massimo 1 mese anticipato e 2 mesi di caparra*
Divisione oneri: secondo il Codice civile e l'art. 9 della legge
sull'equo
canone
Disdetta: inquilino: con lettera raccomandata almeno 6 mesi prima della
data da
lui scelta; proprietario: con lettera raccomandata almeno sei mesi
prima della
scadenza (5 anni o dopo i primi 3)
Rinnovo: automatico per altri 2 (se non c'è disdetta dopo i
primi 3)
Sconti fiscali: proprietario: 40,5% sul canone da denunciare sulla
dichiarazione dei redditi, più riduzione del 30% dell'imposta di
registrazione
(sconti Ici possono essere stabiliti dai Comuni); inquilino: stanziati
fondi
nella Finanziaria
TERZO CANALE: COMPLETAMENTE LIBERO
Tipi di immobile: casa vacanza, box auto, casa categoria A/1 e A/8,
casa
vincolata**
Durata: massimo 30 anni, minimo libero***
Canone: liberamente concordato tra inquilino e proprietario
Aggiornamenti canone: liberamente concordati nell'entità,
frequenza e procedura
Caparra: libera
Divisione oneri: secondo il Codice civile (proprietario: manutenzione
straordinaria; inquilino: manutenzione ordinaria)
Disdetta: automatica, senza bisogno di comunicazione preventiva
Rinnovo: non automatico: può essere concordato liberamente tra
le parti
Sconti fiscali: proprietario: 15% sul canone da denunciare sulla
dichiarazione
dei redditi; inquilino: stanziati fondi nella Finanziaria
NOTE
* Sulla caparra il proprietario versa ogni anno gli interessi legali
(attualmente il 2,5%)
**Gli immobili vincolati o di categoria A/1, A/8, A/9 possono essere
locati
anche con il secondo canale
***Se la durata non viene specificata si considera un anno per gli
immobili non
arredati; per quelli arredati la durata è quella relativa al
canone versato.
L'Equo Canone
Al
di là dei due nuovi canali
per affittare un alloggio previsti dalla nuova legge (n. 431/1998), i
vecchi
contratti a equo canone, se stipulati prima dell'entrata in vigore
della legge
di riforma, continuano a valere fino alla loro scadenza naturale
(quattro
anni).
Sono più di tre milioni le famiglie in affitto in Italia. Per
loro non cambierà
nulla almeno fino alla conclusione dell'attuale contratto. Infatti, i
rapporti
di locazione stipulati prima dell'entrata in vigore della legge
continuano ad essere
validi per tutta la durata prevista (Legge n. 431/1998, art. 14, comma
5). Per
questi inquilini varranno, dunque, le vecchie regole, a meno che le
parti non
concordino di passare alla nuova normativa. I vecchi contratti
rinnovati
tacitamente continuano ad essere disciplinati dalle vecchie norme.
Questo
significa che se un proprietario, al termine dei quattro anni di equo
canone,
non spedisce la
disdetta nei modi e tempi previsti, il contratto viene incanalato, allo
stesso
canone, nella Legge n. 431/1998, la quale prevede un affitto di altri
quattro
anni più quattro.
La maggior parte della legge sull'equo canone (n. 392/1978) è
stata abrogata e
dunque vale solo per i vecchi contratti. Ma la disciplina dell'equo
canone è
importante anche per i nuovi contratti in quanto ne regola alcuni
aspetti.
Alcuni articoli infatti sono rimasti in vigore e disciplinano in parte
i nuovi
contratti (artt. 2, 4, 5, 6, 7, 8, 9, 10, 11, 55, 56, 57, 74, 80 e 81).
In
pratica, si tratta di norme che regolano il subaffitto, le spese di
registrazione, gli oneri accessori, l'intervento dell'inquilino
all'assemblea
condominiale, le modalità per il rilascio dell'alloggio,
l'esenzione dal bollo
per gli atti inferiori alle 600.000 lire, la pubblicazione sulla
Gazzetta
Ufficiale degli indici ISTAT utili per l'aggiornamento del canone.
Per le locazioni commerciali restano poi in vita gli articoli dal 27 al
42.
In concreto la legge dell'equo canone disciplina anche i nuovi
contratti per
quanto riguarda i seguenti aspetti:
- il contratto deve sempre stabilire le norme di recesso (art. 4);
- dopo 20 giorni dalla scadenza prevista per il pagamento del canone e
delle
spese, il contratto può essere sciolto se l'inquilino non ha
pagato (art.
5);
- in caso di morte dell'inquilino intestatario del contratto, gli
succedono il
coniuge, gli eredi, i parenti e affini con lui abitualmente conviventi;
il
coniuge separato succede nel contratto se così è stato
deciso dal giudice o
consensualmente (art. 6);
- in caso di vendita della casa, il contratto non può
sciogliersi e il nuovo
proprietario succede al vecchio nel contratto (art. 7);
- il deposito cauzionale da versare al proprietario non può
essere superiore a
tre mensilità (art. 11);
- la morosità dell'inquilino nel pagamento dei canoni o degli
oneri accessori
può essere sanata in via giudiziaria non più di tre volte
nel corso del
quadriennio del contratto, o al massimo quattro, se si riscontrano
precarie
condizioni economiche o sociali (art. 55);
- se l'inquilino adibisce l'immobile a un uso diverso da quello
pattuito, il
proprietario può chiedere la
risoluzione del contratto entro tre mesi dal momento in cui ne ha avuto
conoscenza; decorso tale termine senza che la risoluzione del contratto
sia
stata chiesta si applica il regime giuridico corrispondente all'uso
effettivo
dell'immobile (art. 80).
La vecchia normativa con i contratti a patto in deroga ed equo canone
rimane in
vita solo nei limiti indicati dalla Legge n. 431/1998, art. 14, ovvero,
per i
giudizi pendenti e per i contratti in corso. Al di là di
ciò, la vecchia
disciplina è superata e quindi è sicuramente nullo un
contratto di locazione
per uso abitativo stipulato oggi in base alle norme dell'equo canone o
dei
patti in deroga.
Chi si trovasse in situazioni dubbie riguardo a qualsiasi aspetto
relativo ai
contratti d'affitto può rivolgersi al proprio legale di fiducia,
ai sindacati
degli inquilini o alle associazioni della proprietà. Allo stesso
tempo bisogna
ricordare che
L'aggiornamento
del
Canone
Ogni anno
l'importo del
canone di locazione deve essere adeguato al costo della vita. Si tratta
di un
calcolo che utilizza un coefficiente di moltiplicazione, calcolato
partendo
dalla variazione assoluta dell'indice ISTAT dei prezzi al consumo
rispetto alla
data di inizio del rapporto d'affitto, ridotto al 75%. Esiste una data
fissa in
cui va fatto l'aggiornamento; questa dipende dall'anno di costruzione
dell'immobile.
Per le case costruite prima del 31 dicembre
Per le case ultimate dal
Ai fini dell'aggiornamento ISTAT del canone di locazione per gli
immobili
ultimati negli anni 1976, 1977 e 1978 la situazione è
controversa. La legge
aveva agganciato anche questi anni alle fluttuazioni del costo della
vita, ma
successivamente, sorti contenziosi, la magistratura spesso si è
espressa
collocando il 1976 e il 1977 nella prima fascia di immobili e il 1978
nella
seconda fascia.
I Patti in
deroga
Anche per i
contratti
stipulati a suo tempo con patto in deroga (ovvero con le norme
contenute nella
ormai superata Legge n. 359/1992) continuano a valere le vecchie regole
fino
alla scadenza del contratto. Il canone d'affitto rimane quello
stabilito
all'inizio nella libera trattativa tra le parti. L'eventuale disdetta
deve
essere comunicata (con raccomandata a/r) almeno un anno prima della
prima
scadenza (se ricorrono i motivi della Legge n. 392/1978, art. 29) e
almeno sei
mesi prima del termine dell'ottavo anno di contratto. Sono da ritenersi
nulli i
contratti ai quali si aggiungono pagamenti in nero.
In mancanza di disdetta, il contratto, con lo stesso canone, viene
ricondotto
alla durata di quattro anni più quattro previsti dalla nuova
legge (n.
431/1998, art. 2, comma 1).
Il canone corrisposto per un contratto stipulato con patto in deroga
deve
essere aggiornato ogni anno rispetto alla variazione del costo della
vita
accertata dall'ISTAT.
L'aggiornamento decorre dal mese successivo a quello in cui viene fatta
richiesta, con lettera raccomandata a/r, dal proprietario e deve essere
riferito alla data di stipulazione del nuovo contratto, a partire dalla
quale
si calcoleranno poi le variazioni annuali.
Come accade per l'equo canone, l'aggiornamento corrisponde al 75%
dell'indice
ISTAT a meno che non si tratti di nuove costruzioni. In questo caso
l'adeguamento può raggiungere il 100% dell'indice ISTAT.
Rientrano nella
categoria delle nuove costruzioni gli immobili per i quali il
proprietario
riesce a dimostrare che all'11 luglio 1992 (data di entrata in vigore
dei patti
in deroga) non era stata ancora presentata la dichiarazione di
ultimazione dei lavori.
Allo stesso tempo occorre dimostrare che alla data di stipulazione del
contratto è stata richiesta la certificazione di
abitabilità e presentata la
domanda per l'accatastamento.
Per calcolare l'aggiornamento del canone dei patti in deroga è
sufficiente
aggiungere al canone dell'anno precedente il 75% o il 100% dell'indice
ISTAT.
Per esempio, nel caso di una vecchia costruzione con un contratto
stipulato nel
mese di marzo 1997 pari a 1.000.000 di lire, a partire dall'aprile
10 -
RISOLUZIONE DEL
CONTRATTO PER MOROSITÀ
A molti
proprietari che
cedono in locazione il loro bene capita prima o poi di fare i conti con
inquilini morosi che per svariati motivi non vogliono o non possono
più pagare
l'affitto e le spese accessorie.
Il proprietario è generalmente costretto a farsi carico
dell'inquilino moroso.
Mentre infatti l'inquilino è tutelato e garantito dalla legge,
lo stesso non si
può dire per il proprietario che per legge, a garanzia del
contratto, non può
chiedere all'inquilino più di tre mensilità di cauzione.
La cauzione non è sufficiente a coprire le spese che un
proprietario è
costretto a sostenere per fare fronte alla morosità di un
inquilino. Infatti,
oltre a non percepire più la pigione, il proprietario deve
avviare lo sfratto
legale, procedura burocratica molto onerosa economicamente.
Il proprietario deve anticipare le spese condominiali e di
riscaldamento
all'amministratore, con scarse probabilità di rientrare delle
spese anticipate.
Sull' immobile pesa inoltre l'onere delle tasse che il proprietario
deve pagare
comunque, indipendentemente dal fatto che l'immobile abbia prodotto o
meno del
reddito.
La proprietà deve tenere in piedi l'immobile con i relativi
costi per lavori
straordinari, manutenzioni alle strutture al fine di mantenere in
efficienza e
a norma di legge gli impianti (elettrico, idraulico, ascensore,
autoclave,
caldaia ecc.).
La terza sentenza della Corte costituzionale del
Al contrario, l'inquilino moroso di un immobile commerciale non ha
diritto a
sanare in tribunale i suoi debiti, a differenza di chi ha preso in
locazione
un'abitazione. Ciò è stato stabilito definitivamente
dalle sezioni unite della
Cassazione, con la sentenza n. 272 del 28 aprile 1999. Non si tratta di
una
decisione da poco, se si pensa che in 21 anni, e cioè dal varo
della legge
sull'equo canone che regola ancora oggi gli affitti non abitativi, si
sono
succedute numerosissime sentenze della Suprema corte su questo
argomento, quasi
tutte in contraddizione con quest'ultima decisione. La materia del
contendere è
l'articolo 55 della Legge sull'equo canone, dove si stabilisce che
l'inquilino,
alla prima udienza, può sanare "per non più di 3 volte
nel corso di un
quadriennio", l'importo dovuto per tutti i canoni scaduti e per le
spese
condominiali, maggiorato degli interessi legali e delle spese
processuali. In
questa sentenza
Le modalità dello sfratto per morosità
Il primo atto da effettuare per ottenere lo sfratto di un inquilino
moroso è
costituito dalla compilazione di una lettera raccomandata con ricevuta
di
ritorno nella quale occorre sollecitare il pagamento degli affitti
arretrati
entro una data stabilita (15 giorni).
È necessario quindi rivolgersi ad un avvocato per l'avvio della
pratica legale
di sfratto, se la morosità persiste. La suddetta pratica
consiste nelle
seguenti azioni:
1) Intimazione di sfratto per morosità e contestuale citazione
per la convalida
presso il tribunale competente. Si tratta di un atto in cui si cita
l'inquilino
moroso a comparire davanti al Giudice e in cui viene fissata la data
dell'udienza (da uno a due o tre mesi a seconda dei tribunali).
2) Il termine di grazia. Se l'inquilino si presenta all'udienza
può chiedere il
"termine di grazia", cioè un periodo di tempo entro cui poter
pagare
e saldare la morosità; il Giudice può concedergli fino a
tre o quattro mesi per
pagare.
3) Convalida. Se l'inquilino non si presenta o non si oppone, allora lo
sfratto
è convalidato e il Giudice fissa la data di esecuzione per il
rilascio
dell'immobile circa un mese dopo la data dell'udienza e manda l'atto
alla
Cancelleria per l'apposizione della formula esecutiva in cui si comanda
a tutti
gli Ufficiali Giudiziari di mettere in esecuzione l'atto di sfratto se
richiesto, dando l'assistenza della forza pubblica.
4) L'atto di precetto. Se l'inquilino moroso non lascia l'appartamento
entro la
data fissata dal Giudice, occorre che il proprietario a mezzo del suo
avvocato
gli notifichi l'atto di precetto in cui gli si intima di rilasciare
l'unità
immobiliare entro circa 10 giorni dalla notifica e che in difetto si
procederà
con l'esecuzione forzata (la notifica di solito avviene a mezzo posta o
a mezzo
assistenti del tribunale, per cui se l'inquilino non si trova a casa,
la
notifica ritorna all'ufficio postale o nella Casa Comunale e, se non
viene
ritirata, rimane lì fino al termine della compiuta giacenza -
uno o due mesi
circa - e i tempi si prolungano ulteriormente).
5) Monitoria di sgombero. Se l'inquilino continua ad occupare
l'immobile,
occorre procedere con la "monitoria di sgombero": si tratta di un
altro atto da notificare al conduttore nel quale l'Ufficiale
Giudiziario del
Tribunale comunica al moroso che in una determinata data, ad una
determinata
ora si recherà presso l'immobile che occupa per sfrattarlo nelle
forme e nei
modi di legge ed eventualmente usufruendo dell'assistenza della forza
pubblica.
In questa fase il proprietario deve dimostrare di essere in regola con
le tasse
(ICI, IRPEF, imposta di registro) fornendo all'avvocato copia delle
ricevute di
pagamento dei tributi che verranno allegate agli atti.
6) Ufficiale giudiziario. L'ultimo atto della procedura di sfratto per
morosità
è rappresentato dall'intervento dell'Ufficiale Giudiziario che
eseguirà
materialmente lo sfratto avvalendosi se necessario della forza pubblica
e farà
cambiare la serratura della porta dell'appartamento al fabbro, il quale
deve
essere stato preventivamente chiamato dal proprietario (che
dovrà farsi carico
della spesa relativa alla prestazione professionale dell'artigiano).
7) Verbale di rilascio. A conclusione dell'intero iter viene redatto il
"verbale di rilascio immobile", atto in cui l'Ufficiale Giudiziario
verbalizza l'avvenuto sfratto.
8) Inventario. Se nell'immobile sono rimasti i mobili dell'inquilino
moroso,
l'Ufficiale Giudiziario stilerà un dettagliato inventario degli
stessi e
nominerà il proprietario custode e responsabile degli averi che
l'inquilino non
è riuscito a portare via. Se l'inquilino non recupera i suoi
averi, deve
provvedere il proprietario a effettuare lo sgombero, a proprie spese,
salvo poi
rifarsi sull'inquilino.
11 - OBBLIGHI
DEL
LOCATORE E DEL CONDUTTORE
Le principali
obbligazioni per le parti sono:
1) per il locatore:
- la consegna al conduttore della cosa locata in buono stato di
manutenzione,
esente da vizi o difetti (salvo quelli già conosciuti dal
conduttore o di
facile riconoscibilità) e munita degli accessori che normalmente
l’accompagnano;
- il mantenimento della cosa locata in modo che possa servire
all’uso
convenuto, eseguendo cioè le riparazioni necessarie, escluse
quelle di piccola
manutenzione o conseguenti a guasti prodotti dal conduttore, dai suoi
familiari
o dipendenti (qualora si tratti di riparazioni urgenti e indifferibili
il
conduttore può eseguirle direttamente, a spese del locatore,
purché dia a
questi immediato avviso);
- far godere pacificamente la cosa data in locazione al conduttore,
evitandogli
molestie, sia proprie sia di terzi, e astenendosi dal compiere
innovazioni che
possano diminuire da parte del conduttore il godimento.
2) per il conduttore:
- la presa in consegna del bene locato e il custodirlo con
diligenza;
- il pagamento regolare alle date pattuite del corrispettivo della
locazione;
- il godimento della cosa, senza oltrepassare i limiti contrattuali
(per
esempio, adibendola ad un uso diverso da quello pattuito o sublocandola
contro
la volontà del locatore);
- la restituzione, infine, al locatore della cosa al termine del
contratto,
nello stesso stato, salvo il normale deperimento d’uso, in cui la
ricevette.
I diritti
dell'inquilino
Gli inquilini
sono
assistiti da alcune associazioni di categoria (le principali sono:
SUNIA, ANAC,
ANIACO, ASIA, ASSOCASA, FEDERCASA, SAI-CISAL). Queste, molto attive,
sono sorte
al fine di tutelare da possibili rischi chi decide di prendere in
affitto un
appartamento, fornendo informazioni dettagliate circa la normativa
vigente e
prestando tutta una serie di servizi di natura pratica. Una di queste
associazioni, il SUNIA, prendendo direttamente in considerazione i
diritti dei
conduttori, ha stilato un utile elenco di consigli per gli inquilini
alle prese
con la nuova legge sulle locazioni (Legge n. 431/1998) e un compendio
delle più
frequenti situazioni nelle quali si può trovare un inquilino
alle prese con
contratti proposti al fine di eludere la legge. Forniamo anche la
lista, sempre
preparata dal SUNIA, dei documenti necessari per la presentazione di
un'istanza
di proroga della locazione oltre al facsimile di una lettera
predisposta
dall'associazione per la rinegoziazione del contratto d'affitto.
Riportiamo
infine un elenco di accorgimenti di natura pratica utili al conduttore
per
garantirsi nell'ambito della locazione.
Con la nuova legge sulle locazioni (Legge n. 431/1998) cambiano
profondamente
le norme che regolano il contratto di affitto per proprietari e
inquilini.
I nuovi diritti del conduttore sono i seguenti:
1) l'inquilino può e deve pretendere il contratto scritto, reso
obbligatorio
dalla legge;
2) il locatario deve registrare sempre il contratto; in primo luogo
perché solo
con la registrazione si possono ottenere le agevolazioni fiscali, e
inoltre
perché il canone di affitto denunciato nella registrazione
è quello legale e
non possono essere chiesti aumenti, maggiorazioni o integrazioni di
vario tipo
e richieste sottobanco;
3) lo sfratto non può essere eseguito se il contratto non
è stato registrato o
se il proprietario non è in regola con il fisco;
4) l'inquilino sotto sfratto per finita locazione può
rinegoziare il contratto
di affitto;
5) in caso di vendita dell'appartamento l'inquilino ha il diritto di
prelazione;
6) nel periodo di proroga dello sfratto non è dovuto alcun
risarcimento per
danno; l'inquilino deve pagare esclusivamente il canone di affitto
maggiorato
del 20%;
7) il conduttore può impugnare il contratto di affitto qualora
il canone
corrisposto è superiore a quello denunciato presso l'ufficio
unico delle
entrate al momento della registrazione;
8) per gravi motivi il locatario può interrompere il contratto
in qualsiasi
momento ;
9) l'inquilino meno abbiente avrà diritto ad un contributo
diretto attraverso
il fondo sociale, oppure a portare in detrazione dalla dichiarazione
dei
redditi una parte dell'affitto.
Il conduttore può inoltre partecipare alle assemblee
condominiali. L'inquilino
ha diritto di voto, al posto del proprietario dell'appartamento, nelle
delibere
dell'assemblea condominiale relative alle spese e alle modalità
di gestione dei
servizi di riscaldamento e di condizionamento d'aria.
Può inoltre intervenire, ma senza diritto di voto, sulle
delibere relative alla
modificazione degli altri servizi comuni del condominio.
Il Fisco
I proprietari
e gli
inquilini degli appartamenti in affitto sono chiamati entrambi a pagare
le tasse;
le imposte che gravano sulle abitazioni vengono infatti attribuite in
parte al
possessore dell'immobile e in parte al
conduttore. Con l'introduzione dei nuovi contratti di affitto regolato
si sono
aggiunte anche alcune agevolazioni di natura fiscale: detrazioni IRPEF,
riduzione dell'imposta di registro e possibilità di riduzioni
sull'ICI. Uno
degli aspetti della tassazione sugli immobili è quello relativo
alle tasse sui
contratti di locazione, cioè all'imposta di registro (oppure
all'IVA) e alla tassa
di bollo.
La legge dispone tuttavia che i contratti già avviati secondo le
precedenti
normative (equo canone, patti in deroga) continuino ad essere regolati,
anche
da un punto di vista fiscale, dalle rispettive norme fino alla scadenza
naturale. Sono a tutt'oggi in vigore le norme relative alla tassazione
ordinaria valida per i vecchi contratti e per i nuovi contratti liberi
oltre a
quelle riguardanti la tassazione agevolata per i contratti
regolati.
12 - IL NUOVO
PROCESSO
LOCATIZIO
Uno dei motivi
che hanno
portato alla crisi dell’istituto della locazione immobiliare
è riconducibile
alla convinzione dei locatori, oramai radicata dopo decenni di
esperienza
diretta, di non riuscire a rientrare in possesso dell’immobile
alla naturale
scadenza del contratto. Questa difficoltà è riconducibile
ad un doppio ordine
di cause: da una parte l’inquilino incontra sempre maggiori
difficoltà nel
trovare un nuovo
appartamento dove trasferirsi e, magari anche per risparmiare, visto
che
andrebbe il più delle volte a pagare un canone più alto,
rinvia il momento del
rilascio dell’immobile. Dall’altra parte lo Stato, pur con
l’approvazione di
nuove norme in sede parlamentare, non riesce a restituire ai
proprietari la
certezza di ritornare in possesso del bene alla scadenza del contratto
di
locazione; questo è dovuto agli inevitabili conflitti tra le
forze politiche
che conducono inevitabilmente all’approvazione di leggi che, nel
cercare di
mediare gli opposti interessi, finiscono per non accontentare nessuno;
e se pur
vi fosse una norma ben congegnata, da sempre esiste la
possibilità di derogarvi
o di prorogarne l’efficacia (vedi le innumerevoli proroghe per
l’esecuzione dei
provvedimenti di sfratto). Dopo aver delineato il quadro della
situazione è ora
opportuno passare all’esame delle norme del Codice di Procedura
Civile sul
procedimento per la convalida dello sfratto, passaggio necessario per
il
proprietario al fine di rientrare in possesso del bene locato. Tali
norme sono
quelle contenute negli articoli da
La nuova legge sulle locazioni ad uso abitativo (Legge 9 dicembre 1998,
n. 431)
ha dettato alcune norme sull’esecuzione dei provvedimenti di
rilascio degli
immobili, stabilendo che condizione necessaria per la messa in
esecuzione del
provvedimento di rilascio dell'immobile locato è la
dimostrazione, da parte del
locatore, che il contratto di locazione sia stato registrato, che
l'immobile
sia stato denunciato ai fini dell'applicazione dell'ICI e che il
reddito derivante
dall'immobile medesimo sia stato dichiarato ai fini dell'applicazione
delle
imposte sui redditi. Nel precetto in cui il locatore intima al
conduttore di
adempiere l’obbligo di rilasciare l’immobile devono,
perciò, essere indicati
gli estremi di registrazione del contratto di locazione, gli estremi
dell'ultima denuncia dell'unità immobiliare alla quale il
contratto si
riferisce ai fini dell'applicazione dell'ICI, gli estremi dell'ultima
dichiarazione dei redditi nella quale il reddito derivante dal
contratto è
stato dichiarato nonché gli estremi delle ricevute di versamento
dell'ICI
relative all'anno precedente a quello di competenza.
L’articolo 6 della stessa Legge n. 431 del 1998 contiene tutta
una serie di
casi in cui la messa in
esecuzione dei provvedimenti di rilascio di immobili adibiti ad uso
abitativo
per finita locazione può essere sospesa e disciplina lo
svolgimento delle
trattative tra le parti per la stipula di un nuovo contratto di
locazione
regolato dalle nuove norme.
Svolgimento
del processo
Il processo in
materia
di locazioni segue le norme dettate dal Codice di Procedura Civile
(articoli da
Quando il locatore - alla scadenza naturale del contratto o prima, nel
caso di
morosità del
conduttore nel pagamento dei canoni - vuole rientrare in possesso
dell’immobile
e l’inquilino non intende invece rilasciare il bene, deve
rivolgersi al giudice
per dare inizio al procedimento di convalida dello sfratto.
Il
procedimento per
convalida di Sfratto
Il
procedimento ha
generalmente inizio con l’intimazione di licenza e di sfratto per
finita
locazione. Il locatore o il concedente può infatti intimare al
conduttore,
all'affittuario coltivatore diretto, al mezzadro o al colono, licenza
per
finita locazione, prima della scadenza del contratto, con la
contestuale
citazione davanti al giudice per la convalida, rispettando i termini
prescritti
dal contratto, dalla legge o dagli usi locali. Nel caso in cui il
contratto sia
già scaduto gli stessi soggetti possono intimare lo sfratto, con
la contestuale
citazione per la convalida, se, in virtù del medesimo contratto
o anche per
effetto di atti o intimazioni precedenti, sia esclusa la tacita
riconduzione.
La notificazione dell’atto
Per ciò che concerne la forma dell’intimazione, essa deve
essere notificata a
norma degli articoli 137 e seguenti del Codice di Procedura Civile, a
mezzo di
ufficiale giudiziario con consegna dell’atto nelle mani del
destinatario, fatto
salvo il caso della notificazione al domicilio eletto per la quale
è
sufficiente la consegna della copia dell’atto nelle mani della
persona presso
la quale si è eletto domicilio.
Il locatore deve dichiarare nell'atto la propria residenza o eleggere
domicilio
nel comune dove ha sede il giudice adito. In caso contrario
l'opposizione alla
convalida e qualsiasi altro atto del giudizio possono essergli
notificati
presso la cancelleria.
La citazione per la convalida deve contenere l'invito rivolto al
destinatario
dell’atto a comparire nell'udienza indicata e l'avvertimento che
se non
comparisce o, comparendo, non si oppone, il giudice convalida la
licenza o lo
sfratto.
Tra il giorno della notificazione dell'intimazione e quello
dell'udienza
debbono intercorrere termini liberi non minori di venti giorni. In
alcuni casi
particolari (cause che richiedono pronta spedizione) il giudice
può, su istanza
dell'intimante, con decreto motivato, scritto in calce all'originale e
alle
copie dell'intimazione, abbreviare fino alla metà i termini di
comparizione.
La costituzione delle parti
Le parti si possono costituire o depositando in cancelleria
l'intimazione con
la relazione di notificazione o la comparsa di risposta, oppure
presentando
tali atti al giudice in udienza.
Una particolare procedura si segue se l'intimazione non è stata
notificata in
mani proprie; in tal caso l'ufficiale giudiziario deve spedire avviso
all'intimato dell'effettuata notificazione a mezzo di lettera
raccomandata e
allegare all'originale dell'atto la ricevuta di spedizione.
Fino all’entrata in vigore della recentissima riforma del
processo civile,
concretizzatasi con la costituzione del giudice unico di primo grado,
la
competenza sui procedimenti di convalida dello sfratto era del pretore.
Ora,
quando si intima la licenza o lo sfratto, la citazione a comparire deve
farsi
inderogabilmente davanti al tribunale del luogo in cui si trova la cosa
locata.
L’ordinanza di convalida e l’ordinanza di
rilascio
In caso di mancata comparizione del locatore all'udienza fissata
nell'atto di
citazione, cessano gli effetti dell'intimazione.
Nel caso invece di mancata comparizione o mancata opposizione
dell'intimato
all'udienza fissata nell'atto di citazione, il giudice convalida la
licenza o
lo sfratto e dispone, con ordinanza in calce alla citazione,
l'apposizione su
di essa della formula esecutiva.
Se invece risulta o appare probabile che l'intimato non abbia avuto
conoscenza
della citazione o non sia potuto comparire per caso fortuito o forza
maggiore,
il giudice deve ordinare che sia rinnovata la citazione.
Se lo sfratto è stato intimato per mancato pagamento del canone,
la convalida è
subordinata all'attestazione in giudizio del locatore o del suo
procuratore che
la morosità persiste e in tale caso il giudice può
ordinare al locatore di
prestare una cauzione.
Diverso è invece il caso in cui l'intimato comparisce in
giudizio e oppone
eccezioni non fondate però su prova scritta. In questo caso il
giudice, su
istanza del locatore, se non sussistono gravi motivi in contrario,
pronuncia
ordinanza non impugnabile di rilascio, con riserva delle eccezioni del
convenuto. Tale ordinanza è immediatamente esecutiva anche se
può essere
subordinata alla prestazione di una cauzione per i danni e le
spese.
L’opposizione nei termini e l’opposizione
tardiva
Se l'intimazione di licenza o di sfratto è stata convalidata in
assenza
dell'intimato, questi può farvi opposizione fornendo però
la prova di non avere
avuto tempestiva conoscenza dell’intimazione stessa, o per
irregolarità della
notificazione o per caso fortuito o forza maggiore. Nel caso in cui
l’intimato
abbia avuto tempestiva conoscenza della citazione ma non sia potuto
comparire
per forza maggiore o caso fortuito,
Se sono decorsi dieci giorni dall'esecuzione, l'opposizione non
è più
ammessa.
L'opposizione si propone davanti al tribunale nelle stesse forme
prescritte per
l'opposizione al decreto di ingiunzione ma non ha l’effetto di
sospendere il
processo esecutivo, a meno che il giudice, ritenendo che sussistono
gravi
motivi, con ordinanza non impugnabile, disponga ugualmente la
sospensione.
Lo sfratto per morosità
Il locatore, in caso di mancato pagamento del canone di affitto alle
scadenze
pattuite, può intimare al conduttore lo sfratto con le stesse
modalità previste
per la finita locazione e può chiedere nello stesso atto
l'ingiunzione di
pagamento per i canoni scaduti.
Se il locatore non chiede anche il pagamento dei canoni, la pronuncia
sullo
sfratto risolve la locazione, ma lascia impregiudicata ogni questione
sui
canoni stessi. Tale questione andrà quindi riesaminata in un
nuovo giudizio.
Se il canone consiste in derrate, il locatore deve dichiarare la somma
che è
disposto ad accettare in sostituzione.
Nel caso di intimazione di sfratto per morosità, il giudice
adito pronuncia
separato decreto di ingiunzione per l'ammontare dei canoni scaduti e di
quelli
che scadranno fino all'esecuzione dello sfratto, e per le spese
relative
all'intimazione.
Il decreto è redatto in calce ad una copia dell'atto di
intimazione presentata
dall'istante, da conservarsi in cancelleria.
Tale decreto è immediatamente esecutivo, anche se è
suscettibile di
opposizione. L'opposizione non toglie però efficacia
all'avvenuta risoluzione
del contratto.
Diverso è il caso in cui vi è contestazione
sull'ammontare dei canoni.
Infatti se viene intimato lo sfratto per mancato pagamento del canone,
e il
convenuto nega la propria morosità contestando l'ammontare della
somma pretesa,
il giudice può disporre con ordinanza il pagamento della somma
non controversa
e può concedere al convenuto un termine non superiore a venti
giorni.
13 -
TASSAZIONE
ORDINARIA
Per i
contratti
pluriennali di locazione e sublocazione, inquilino e proprietario
devono
versare l'imposta di registro. Tale imposta ammonta al 2%
dell'importo
dell'affitto annuo (Dpr n. 131/1986, art. 17) e, divisa in parti uguali
tra i
due i contraenti, può essere corrisposta annualmente oppure
liquidata in
un'unica soluzione alla registrazione del contratto. Quest'ultima
soluzione
prevede uno sconto pari alla metà del tasso di interesse legale
moltiplicato il
numero delle annualità. In caso di scioglimento anticipato del
contratto, si
avrà diritto a un rimborso. Le quote devono essere versate entro
e non oltre
venti giorni dall'inizio della locazione (data coincidente con la
conclusione
del contratto). La cifra sulla quale va effettuato il calcolo della
tassa deve
tenere in considerazione gli aggiustamenti ISTAT e gli adeguamenti del
canone
(per esempio, gli aumenti per interventi di manutenzione effettuati dal
proprietario), a meno che non si opti per un'unica soluzione (in questo
caso
non andranno considerati).
L'imposta di registrazione va arrotondata alle pari
Indipendentemente dal valore del canone complessivo, esiste un importo
minimo
da versare fissato a 50 euro.
Gli oneri a carico del proprietario
La tassazione dei canoni d'affitto avviene sulla base degli importi
fissati
contrattualmente e delle rivalutazioni applicate ai sensi di legge.
Pertanto,
il mancato pagamento degli importi dovuti da parte dell'inquilino non
ha
rilevanza sulla dichiarazione dei redditi del proprietario, che deve
dichiarare
il reddito sul canone annuale fissato, a meno che non abbia stipulato
un
contratto regolato.
Il vero e proprio imponibile IRPEF è costituito da un importo
più basso della
somma degli affitti, detto "reddito effettivo" e pari all'85% delle
competenze annuali. Il reddito si dichiara effettivo tutte le volte che
è più
alto della rendita catastale dell'immobile (e cioè quasi
sempre). La deduzione
del 15% per determinare il reddito effettivo è concessa in
maniera forfettaria
e comprende tutte le spese di competenza del proprietario.
Il contribuente che possieda solo redditi immobiliari inferiori a 186
Euro
annue è esonerato dalla presentazione della dichiarazione dei
redditi e dal
pagamento delle relative imposte.
La tassazione dei redditi derivanti da immobili affittati è
soggetta alle norme
dell'imposizione progressiva: i redditi immobiliari si sommano agli
altri redditi
posseduti dal soggetto e concorrono ai diversi scaglioni d'imposta.
Dunque, il proprietario di una casa in affitto (posto che il reddito
derivante
dall'immobile non sia per lui prevalente rispetto agli altri) paga le
imposte
sul reddito immobiliare secondo l'aliquota marginale, praticamente la
massima
che gli spetta.
A queste tasse si aggiunge la quota annuale dell'imposta di registro
(50%
dell'importo a carico del proprietario) e l'ICI, che si calcola
applicando
all'ammontare delle rendite risultanti in Catasto alcuni moltiplicatori
predeterminati, le aliquote, che i Comuni possono ridurre, fino ad
azzerare, su
tutte le abitazioni principali. Senza interventi del Comune, rimane lo
sconto
di 100 euro previsto dallo Stato.
Una certa cautela va osservata per gli immobili storici. La norma che
riduce
l'imponibile alla sola rendita catastale secondo la tariffa più
bassa in vigore
nella zona non viene normalmente riconosciuta dal fisco in caso di
affitto.
Molti proprietari hanno perciò preferito dichiarare comunque il
reddito
effettivo e chiedere le relative imposte a rimborso basandosi sulla
norma più
favorevole.
Dal 1999 (e quindi per la prima volta nella dichiarazione presentata
nel maggio
del 2000) l'imponibile fiscale dei proprietari viene calcolato su
quanto
effettivamente percepito e non più sugli affitti di competenza
come da
contratto. In questo modo non si pagano le tasse su canoni ipotetici ma
su
quelli reali. Nel Dpr n. 917/1986, l'articolo 23 è stato
modificato: "I
redditi derivanti da locazione di immobili ad uso abitativo, se non
percepiti,
non concorrono alla formazione del reddito dal momento della
conclusione del
procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per
morosità del
conduttore".
Inoltre, per le imposte versate sui canoni venuti a scadere e non
percepiti
come da accertamento nell'ambito dello stesso procedimento, è
riconosciuto un
credito d'imposta di pari ammontare.
Gli oneri a carico dell'inquilino
L'inquilino, a differenza del proprietario, non paga IRPEF sulla casa e
ICI, ma
se svolge un'attività imprenditoriale in un locale in affitto
è tenuto a
versare l'imposta regionale sulle attività produttive (IRAP).
Tale imposta
grava sulle persone fisiche, le società, gli enti pubblici e
privati, le
associazioni non riconosciute e sui consorzi.
A seconda del contratto, le locazioni possono essere passive di IVA o
di
imposta di registro. Non possono, per esempio, essere gravate da IVA
quelle
locazioni non finanziarie e gli affitti di aree la cui destinazione sia
diversa
dal parcheggio di veicoli e quei fabbricati con annesse pertinenze,
destinati
al servizio degli immobili locati e quelli destinati a uso di civile
abitazione.
Per le locazioni passive di IVA, la tassa varia a seconda del tipo di
fabbricato. Per gli immobili dati in affitto da soggetti passivi di
imposta,
l'IVA è del 20% se si tratta di edifici strumentali, mentre
è del 10% se il
loro uso è per abitazione civile, locazione da parte di imprese
costruttrici o
acquisto per scopo di rivendita. Una nota della direzione generale del
Catasto
stabilisce quando i fabbricati sono definiti strumentali.
Tassazione
agevolata
La riforma
della
locazione (Legge n. 431/1998) concede alcuni sconti fiscali a chi opta
per il
contratto regolato e risiede in un Comune ad alta tensione abitativa.
Le
agevolazioni consistono in una detrazione IRPEF e in una riduzione
dell'imposta
di registro e saranno ottenute dietro presentazione degli estremi del
contratto, della denuncia fiscale e del pagamento dell'ICI (vedi anche
circolare n. 150/E del 1999).
È prevista inoltre per tutti i Comuni la possibilità di
stabilire aliquote ICI
più basse per gli immobili affittati con contratto regolato.
Le agevolazioni non riguardano la sola casa d'abitazione tradizionale:
anche le
case per gli studenti universitari possono rientrare nei contratti
controllati,
dunque usufruire delle agevolazioni fiscali. Restano invece esclusi gli
alloggi
ad uso esclusivamente turistico e quelli di edilizia residenziale
pubblica (lo
Stato non è soggetto IRPEF). Gli immobili storici e quelli di
lusso o in ville
accedono, invece, per la prima volta ad agevolazioni se saranno
affittati con i
nuovi contratti regolati.
Sono soggetti ad agevolazione fiscale per l'IRPEF i contratti che
rientrano nel
secondo canale di locazione stipulati nei Comuni ad alta tensione
abitativa.
Nelle altre località si possono comunque sfruttare le
agevolazioni ICI se i
Comuni deliberano in tal senso. Le maggiorazioni ICI per le case sfitte
sono,
invece, possibili solo nei Comuni ad alta tensione abitativa. Ai
soggetti
titolari di contratti di locazione di unità immobiliari adibite
ad abitazione
principale ai sensi dell'art. 13-ter del Tuir spetta una detrazione di
330 euro
circa se il reddito complessivo non supera i 15.500 euro l’anno e
di euro 165
se il reddito complessivo supera i 15.500 euro l’anno, ma non 31.000.
Le agevolazioni ai fini IRPEF
I proprietari che aderiscono al contratto regolato hanno
diritto ad
un'ulteriore detrazione IRPEF del 30% e non devono più pagare le
tasse sui
canoni richiesti ma non percepiti, come succedeva in precedenza. Con un
provvedimento del giudice, che, convalidando lo sfratto, accerti la
morosità, è
possibile anche ottenere rimborsi per le tasse sugli affitti non
riscossi.
In pratica, l'immobile affittato viene tassato sulla base del reddito
effettivo
(quello incassato) ricavato dall'affitto, ma a condizione che sia
maggiore
della rendita catastale, che dunque costituisce il limite minimo
tassabile. Il
modulo per la dichiarazione per i redditi riporterà un riquadro
per l'indicazione
degli estremi di registrazione del contratto e della dichiarazione
iniziale
ICI. Questi dati apriranno la strada a una riduzione dell'imponibile
del 30%
per i canoni di locazione di immobili abitativi situati nelle
città ad alta
tensione abitativa e affittati secondo i contratti controllati, sia
nuovi sia
rinnovati con la legge n. 431/1998.
Per esempio, un affitto di 4132,00 euro l'anno oggi è tassato
(secondo la
riduzione concessa dal Dpr n. 917/1986, art. 34, pari al 15% per tutti)
su Euro
3.512 (ovvero 4132 euro di lordo contrattuale meno il 15%: 620 euro).
Con i
contratti regolati verrà tassato su Euro 2.458,33, ovvero dai
3.512 Euro precedenti va detratto un
ulteriore 30% pari
a 1.053,57 euro. La riduzione (15% + 30% sull'85%) sale così al
40,5% del
totale. Quindi, la nuova agevolazione si cumula con la riduzione del
15% già
prevista su spese e oneri della proprietà.
Secondo questo esempio, un contribuente potrà ridurre l'IRPEF
sull'affitto
percepito di un importo compreso tra i 310 euro e 516 euro.
Anche gli inquilini che non oltrepassano un determinato reddito possono
beneficiare di sgravi fiscali sotto forma di detrazione d'imposta.
Questa detrazione viene concessa agli inquilini non proprietari di
altre case
dal 1999 (nelle dichiarazioni presentate nel 2000) ed è pari
alla detrazione
per i proprietari della prima casa.
Gli sconti sull'imposta di registro
L'imponibile, attualmente pari all'affitto intero dell'anno,
si
riduce del
30%. Per esempio, se un affitto di 4.132 euro annui oggi è
assoggettato a
un'imposta di registro di circa 83 euro , con i contratti regolati,
nelle città
ad alta tensione abitativa, l'imponibile si ridurrà al 70% in
base al seguente
calcolo: importo contrattuale (4132 Euro) meno il 30% di detrazione
(1.240
Euro) arriva a dare un imponibile di 2.892 Euro. L'imposta di registro
si
calcola come il 2% di tale cifra, cioè 57,84 Euro annue (vedi
anche circolare
n. 15/E del 1999).
Ricordiamo che qualora l'imposta di registro (ridotta) scendesse al di
sotto
dei 50 Euro sarà comunque necessario versare tale importo,
considerato il
minimo fissato dalla legge.
Le possibilità relative all'ICI
Sul fronte dell'ICI i Comuni, a partire dal '99, possono
ridurre
l'aliquota
(anche al di sotto del 4 per mille) per gli immobili affittati con
contratti
regolati. Allo stesso modo, le amministrazioni locali di zone ad alta
tensione
abitativa hanno la possibilità di aumentare l'ICI fino al 9 per
mille sulle
case per le quali non risultino registrati contratti d'affitto da oltre
due
anni.
1. NOZIONE E
NATURA
GIURIDICA
La nozione di
compravendita è data dall'art. 1470 c.c.:
ala vendita è il contratto che ha per oggetto il trasferimento
della proprietà
di una cosa o il trasferimento di altro diritto verso il corrispettivo
di un
prezzo».
La
compravendita è
quindi un contratto traslativo, nel
senso che produce il trasferimento di un diritto, ai sensi del
principio del
consenso traslativo che vige nel nostro ordinamento (art. 1376 c.c.).
È
possibile distinguere
due tipi di vendita:
‑ la vendita
reale, quando il
trasferimento
del diritto, in perfetta aderenza al principio consensualistico, non
necessita
di nessun altro elemento oltre il consenso delle parti; gli obblighi
che
nascono dal contratto a carico del compratore e del venditore si
situano,
infatti, sul piano meramente esecutivo;
‑ la vendita
obbligatoria, quando il
trasferimento del diritto necessita, invece, di ulteriori fatti oltre
al
consenso delle parti.
La
compravendita è un
contratto:
‑ consensuale.
È
infatti sufficiente
l'accordo delle parti (consenso) per il perfezionamento del contratto;
‑ ad effetti
reali. La
compravendita
produce gli effetti di cui all'art. 1376 c.c., ossia il trasferimento
di un
diritto, reale o di credito; anche la vendita obbligatoria ha tale
qualità,
essendo l'effetto reale comunque conseguenza diretta del contratto e
ponendosi
gli ulteriori fatti, richiesti per il trasferimento, all'esterno della
fattispecie contrattuale;
‑ ad
attribuzioni corrispettive. Le
prestazioni alle quali sono tenute le parli sono in rapporto di
interdipendenza, nel senso che ciascuna è causa dell'altra.
È
più corretto parlare
di attribuzioni reciproche e non di prestazioni, non essendoci,
normalmente,
spazio per un'obbligazione in senso tecnico del venditore, dato che il
trasferimento
del diritto è effetto del semplice perfezionarsi del contratto;
‑ commutativo.
È
possibile conoscere
sin dal momento della conclusione del contratto l'entità del
sacrificio che
ciascuna parte dovrà sopportare;
‑ non di
durata. Nei contratti
di durata
la prestazione è durevole nel tempo e presenta
un'utilità, per le parti,
proprio per questo suo durare; nella compravendita, invece, la
prestazione è
istantanea ed anche nel caso di vendita a consegna ripartita il
frazionamento
della prestazione è una semplice modalità di esecuzione
della stessa;
‑ a
partecipazione bilaterale. Nella
vendita, infatti, necessariamente devono esistere una parte venditrice
ed una
parte compratrice. Nel caso in cui vi siano più compratori o
più venditori si
sarà in presenza di una parte complessa (cioè formata da
più di un soggetto).
ELEMENTI
Gli elementi
del
contratto di compravendita sono: l'accordo
delle parti; la causa; l'oggetto; la
forma.
L'accordo
delle parti è disciplinato dalla
normativa prevista in tema di contratto in generale (artt. 1326‑1342
c.c.).
Per la forma
è valido
il principio generale della libertà della forma mentre il
formalismo
costituisce l'eccezione: vale, ad esempio, per la vendita
dei beni immobili e dei mobili registrati che deve
essere fatta, a pena di nullità, per scrittura privata o per
atto pubblico
(art. 1350 c.c.).
L'oggetto deve
essere,
ai sensi dell'ari. 1346 c.c., possibile,
lecito, determinato o determinabile.
È
espressamente
prevista l'applicazione della determinabilità
dell'oggetto ad opera di un terzo (arbitratore), ex ari. 1473 c.c..
Oggetto del
contratto
di compravendita può anche essere un bene
futuro, anzi la vendita di cosa futura è espressamente
prevista e
disciplinata dal codice civile dall'art. 1472.
2. IL PREZZO
La causa della
vendita
è caratterizzata dal prezzo, cioè dalla somma di denaro
pagata dall'acquirente
al venditore come corrispettivo del bene trasferito.
Il prezzo
distingue il
contratto di vendita da quello di permuta, che si caratterizza per lo
scambio
di bene con bene, e da altri contratti atipici che realizzano uno
scambio di
una cosa con un fare.
Il prezzo
è, di norma,
contrattualmente determinato dalle parti, ma, ex art. 1473 c.c., quale
applicazione della più generale figura dell'arbitraggio prevista
dall'art. 1349
c.c., le parti possono affidare ad un terzo la sua determinazione.
Questi dovrà
procedere secondo equo apprezzamento, trovando applicazione, in
mancanza di una
norma contraria, il 1 ° comma dell'art. 1349 c.c.:
occorrerà, dunque, una
apposita convenzione derogatrice per la determinazione secondo mero
arbitrio
del terzo.
In mancanza di
determinazione del prezzo compiuta dalle parti, o di ricorso ad un
terzo
arbitratore, la legge interviene, in omaggio al principio della
conservazione
del contratto, stabilendo una serie di criteri (art. 1474 c.c.):
‑ se il
contratto ha
per oggetto cose che il venditore vende abitualmente, si presume che le
parti
abbiano voluto riferirsi al prezzo normalmente praticato dal venditore
(criterio del prezzo del venditore);
‑ se si tratta
di cose
aventi un prezzo di borsa o di mercato, il prezzo si desume dai listini
o dalle
mercuriali del
luogo in
cui deve essere eseguita la consegna, o da quelli della piazza
più vicina
(criterio del
prezzo
corrente);
‑ qualora le
parti abbiano
inteso riferirsi al giusto prezzo, si applicano le disposizioni dei
commi
precedenti; e, quando non ricorrano i casi da essi previsti, il prezzo,
in
mancanza di accordo, è determinato da un terzo, nominato a norma
del 2° comma
dell'art. 1473 c.c. (criterio del giusto
prezzo).
3. LE
OBBLIGAZIONI DEL VENDITORE
Ex art. 1476
c.c. le
obbligazioni del venditore sono:
‑ quella di
consegnare
la cosa al compratore;
‑ quella di
fargli
acquistare la proprietà della cosa o il diritto, se l'acquisto
non è effetto
immediato del contratto (vendita
obbligatoria);
‑ quella di
garantire
il compratore dall'evizione e dai vizi della cosa.
L'OBBLIGAZIONE
DI
GARANTIRE IL COMPRATORE DALL'EVIZIONE E DAI
VIZI
Tre sono i
rimedi
previsti dal legislatore a favore del compratore:
‑ la garanzia per evizione;
‑ la garanzia per vizi;
‑ la garanzia per mancanza di qualità della cosa.
L'evizione si
verifica
allorché il compratore sia privato del
bene, oggetto del contratto di compravendita, a causa
dell'esistenza di un diritto, vantato da un terzo, sul bene
stesso.
L'evizione
può essere:
‑ totale, quando il
compratore è
privato dell'intero bene;
‑ parziale, quando il
compratore è
privato solo parzialmente del bene acquistato;
‑ limitativa, quando un
tetto vanta
un diritto limitato, reale o personale sul bene.
Le azioni a
favore del
compratore evitto sono previste dall'art. 1483 c.c., il quale rinvia
all'art.
1479 c.c.:
‑ l'interesse
negativo
è tutelato, senza che abbia rilievo la colpa del venditore,
dalle azioni di risoluzione e di riduzione del
prezzo;
‑ (interesse
positivo
dell'acquirente è, invece, tutelato dall'azione di risarcimento
del danno, esperibile solamente qualora vi sia stata
la colpa del venditore.
Il venditore
è tenuto
poi:
‑ alla restituzione del prezzo, al rimborso del
valore dei frutti che l'acquirente è obbligato a restituire al
terzo che vanta
diritti;
‑ al rimborso delle spese giudiziali ed in
particolare delle spese necessarie per la denunzia della lite al
venditore
(denunzia obbligatoria per l'acquirente ai sensi dell'art. 1485 c.c.) e
quelle
che debbono essere rimborsate all'evincente vittorioso;
I termini
brevi,
previsti dal legislatore in materia, trovano la loro ratio
nell'esigenza di
tutelare la parte venditrice permettendogli di rivalersi,
eventualmente, nei
confronti di chi gli ha fornito il bene.
Infine il
1° comma
dell'art. 1494 c.c. obbliga il venditore al risarcimento
del danno (danno diretto), se non prova di aver ignorato senza
colpa i vizi
della cosa; il secondo comma dello stesso articolo prevede anche il
risarcimento dei danni derivati dai vizi della cosa (danno indiretto).
Circa la garanzia per mancanza delle qualità
promesse, l'art. 1497, 1 ° comma, c.c. stabilisce che quando
la cosa
venduta non ha le qualità promesse ovvero
quelle essenziali per l' uso cui è
destinata, il compratore ha diritto di ottenere la risoluzione
del contratto, secondo le disposizioni generali sulla
risoluzione per inadempimento, purché il difetto di
qualità ecceda i limiti di
tolleranza stabiliti dagli usi; egli ha, inoltre, diritto al risarcimento del danno eventualmente
subito.
L'azione per
assenza di
qualità promesse rientra, quindi, nell'azione di risoluzione del
contratto per
inadempimento, il compratore però dovrà rispettare i
termini di decadenza e di
prescrizione previsti dall'art. 1495 c.c.
LE
OBBLIGAZIONI DEL COMPRATORE
L’
obbligazione
principale del compratore è quella di pagare
il prezzo.
L’art.
1498 c.c.
stabilisce che il prezzo deve essere pagato nel termine e
nel luogo fissati
dal contratto.
In mancanza di
pattuizione e salvi gli usi diversi, il pagamento deve avvenire al
momento
della consegna e nel luogo dove questa si esegue.
Se il prezzo
non si
deve pagare al momento della consegna, il pagamento si fa al domicilio
del
venditore.
A norma
dell'art. 1499
c.c., qualora la cosa venduta e consegnata al compratore produca frutti
o altri
proventi, decorrono gli interessi sul
prezzo, anche se questo non è ancora esigibile.
Ex art. 1475
c.c., le
spese del contratto di vendita sono a carico del compratore.
4.
La vendita
obbligatoria
è un contratto già perfetto che però produce
effetti traslativi solo in un
momento successivo. Nella vendita obbligatoria è possibile
distinguere:
‑ gli effetti
obbligatori (irrevocabilità
del consenso; impegno del venditore di far acquistare la
proprietà della cosa o
il diritto al compratore; obbligo del compratore di pagare il prezzo)
che si
verificano immediatamente sin dalla conclusione del contratto;
‑ gli effetti
reali (trasferimento
della
cosa o del diritto) che si realizzano in un momento successivo.
Costituiscono
ipotesi di vendita obbligatoria:
- la vendita di cosa futura. Si ha allorché
il contratto di compravendita ha ad oggetto una cosa che
non esiste al momento della conclusione dello stesso.
L’art. 1472 c.c. stabilisce che l'acquirente acquista la
proprietà del bene
venduto allorché la cosa viene ad esistenza.
La vendita di
cosa
futura, rientrando nel più ampio schema della vendita
obbligatoria, si
perfeziona con il semplice consenso delle parti, e sin dal momento
perfezionativo
sorgono in testa alle parti gli effetti obbligatori; gli effetti
finali,
invece, sono differiti al momento in cui viene ad esistenza la cosa
venduta.
Il 2°
comma dell'art.
1472 c.c. stabilisce che, qualora le parti non abbiano voluto
concludere un
contratto aleatorio, la vendita è nulla, se la cosa non viene ad
esistenza;
- la vendita di cosa altrui. È prevista dal
codice civile all'art. 1478 il quale stabilisce che «se
al momento del contratto la cosa venduta non era di proprietà
del
venditore, questi è obbligato a procurare 1 acquisto al
compratore. Il
compratore diventa proprietario nel momento in cui il venditore
acquista la
proprietà dal titolare di essa».
La vendita
di cosa altrui rappresenta, quindi, un'ipotesi per così dire,
fisiologica, nel
senso che la fattispecie si realizza soltanto nel caso in cui il
contratto ha
espressamente per oggetto una cosa altrui o nel caso in cui il
compratore
sapeva dell' alienità della cosa. Se, al contrario, il venditore
ha venduto per
propria una cosa di proprietà aliena, al compratore sarà
consentito
l'esperimento dei normali mezzi a sua difesa quali la risoluzione del
contratto
e la richiesta di risarcimento dei danni.
Anche la
vendita di
cosa altrui, così come la vendita di cosa futura, rientra nella
più ampia
categoria della vendita obbligatoria: sin
dalla conclusione del contratto, che avviene con la prestazione del
semplice
consenso delle parti, sorgono, infatti, immediatamente effetti
obbligatori sia
per il venditore (l'obbligo di procurarsi il bene) sia per l'acquirente
(l'obbligo di pagare il prezzo). Gli effetti reali del negozio si
realizzano,
invece, in un momento successivo e precisamente nel momento in cui il
bene
entra nel patrimonio giuridico del venditore: solo allora, infatti, il
compratore
diverrà automaticamente proprietario del bene oggetto del
contratto.
II venditore
può
adempiere il suo obbligo facendo acquistare il bene venduto
all'acquirente o in
via diretta o in via indiretta e cioè:
‑
la prima ipotesi si realizza allorché
egli acquisti, in qualsiasi modo, il bene oggetto del contratto;
‑
la seconda ipotesi si realizza,
invece, allorché il venditore stipuli con l'attuale proprietario
del bene un
contratto a favore di terzi, stabilendo l'alienazione del bene a favore
dell'acquirente del contratto di compravendita;
- la vendita con riserva di proprietà. Regolata
dagli artt. 1523‑1526 c.c., è caratterizzata dal fatto che il venditore, pur trasferendo sin dal momento
della conclusione del contratto il godimento del bene venduto ali
acquirente,
rimane proprietario dello stesso sino all'integrale pagamento del
prezzo, che è
invece differito nel tempo.
Tale tipo di
vendita ha
trovato larga utilizzazione soprattutto nella vendita a rate,
costituendo
un'ottima garanzia per il credito del venditore al pagamento del
prezzo. Per
quanto riguarda la natura giuridica di
tale contratto, è discusso se si tratta di vendita
sottoposta alla
condizione del pagamento dell' ultima rata, oppure di vendita
obbligatoria,
oppure, infine, di vendita a scopo di garanzia, con la costituzione di
un
diritto reale di garanzia a favore del venditore;
Il compratore,
ai sensi
dell'art. 1523 c.c., assume i rischi del bene venduto sin dalla
consegna, pur
non essendo ancora proprietario, e ciò è spiegabile
avendo l'acquirente
immediatamente il diritto di godimento e quindi il contatto diretto col
bene.
Il codice
poi prevede che il mancato pagamento di una sola rata che non ecceda
l'ottava
parte del prezzo, non dà luogo alla risoluzione del contratto ed
il venditore
potrà agire giudizialmente solo per il pagamento della rata
scaduta (art. 1525
c.c.). In caso di risoluzione del contratto (se la singola rata supera
l'ottavo
del prezzo o se l'inadempimento si protrae per più rate),
inoltre, il venditore
ha diritto di riottenere il bene, dovendo però restituire al
compratore le rate
riscosse, salvo il suo diritto ad un equo compenso, oltre al
risarcimento per
eventuali danni (art. 1526 c.c.).
‑ la vendita di cose generiche. Il bene
oggetto del contratto, è individuato solamente per la sua
appartenenza ad un
genere e non nella sua individualità fisica.
Nella vendita
di cose
generiche la proprietà è trasferita all'acquirente al
momento
dell'individuazione del bene.
Si è,
quindi,
nell'ambito della vendita obbligatoria dove il momento ulteriore, che
segna il
trasferimento della proprietà, è costituito
dall'individuazione del bene
venduto: con ciò, infatti, la cosa, indicata solamente per la
sua appartenenza
ad un genere, si concretizza in un bene specifico;
‑ la vendita alternativa. Si ha quando un
soggetto si obbliga a trasferire uno di due o più beni specifici
dedotti in
contratto.
Il
trasferimento del
diritto si realizzerà al momento della concentrazione
cioè quando viene
esercitata la facoltà di scelta (che di regola, spetta al
venditore). Il
legislatore disciplina, inoltre, le modalità e i termini di
esercizio di tale
facoltà (art. 1287 c.c.) nonché l'eventuale
impossibilità della prestazione
(artt. 1288, 1289 c.c.).
5.
L’art.
1500 c.c., nel disciplinare il patto di
riscatto, stabilisce che il venditore può riservarsi il diritto
di riavere la
proprietà della cosa venduta mediante la restituzione del prezzo
ed i rimborsi
indicati dalle norme successive.
La vendita con
patto di
riscatto è caratterizzata, quindi, dalla facoltà che il
venditore ha di
riottenere il bene venduto mediante la restituzione, entro un termine
stabilito, del prezzo e dei previsti rimborsi.
La funzione
di tale tipo di vendita consiste nel concedere al
venditore, necessitante temporaneamente di denaro liquido, di
riacquistare il
bene alienato una volta che è ritornato in una buona situazione
di liquidità.
Per impedire
che vi sia
un approfittamento della situazione da parte del venditore, il secondo
comma
del medesimo articolo stabilisce che «il patto di restituire un
prezzo
superiore a quello stipulato per la vendita è nullo per l’
eccedenza».
Il patto di
riscatto,
in quanto patto accessorio alla vendita, necessita degli stessi requisiti formali; esso, inoltre, deve
necessariamente essere contestuale al contratto di compravendita,
poiché un
patto successivo sarebbe un negozio autonomo che rientrerebbe in altre
figure
giuridiche.
A norma
dell'art. 1501
c.c. il termine per il riscatto non
può essere maggiore di due anni nella
vendita di beni mobili e di cinque in
quella di beni immobili. Se le parti stabiliscono un termine maggiore
esso si
riduce a quello legale (perentorio e inderogabile).
L’ art.
1502 c.c.,
invece, stabilisce gli obblighi del
riscattante, e cioè:
‑ rimborsare
il prezzo
al compratore;
‑ rimborsare
le spese
ed ogni altro pagamento legittimamente fatto per la vendita;
‑ rimborsare
le spese
per le riparazioni necessarie e, nei limiti dell'aumento, quelle che
hanno
aumentato il valore della cosa.
In caso di
successiva
alienazione da parte del compratore ancora sottoposto alla
facoltà di riscatto
del venditore originario, la legge riconosce la prevalenza del diritto
di
quest'ultimo rispetto al diritto di proprietà del terzo
acquirente: di
conseguenza il venditore può ottenere il bene dai successivi
acquirenti, purché
il patto di riscatto sia ad essi opponibile (art. 1504 c.c.).
6. VENDITE CON
CLAUSOLE SULLA QUALITÀ DEL BENE
A) Vendita con
riserva di gradimento
La vendita con
riserva
di gradimento è prevista dall'ari. 1520 c.c. il quale stabilisce
che quando si
vendono cose con riserva di gradimento da parte del compratore, la
vendita non
si perfeziona fino a che il gradimento
non sia stato comunicato al venditore.
Invero, si
è in
presenza di una proposta irrevocabile del venditore che il compratore
è libero
o meno di accettare, dopo un esame del bene; l'esame dovrà
essere eseguito nel
termine convenuto decorso il quale, nell'inerzia del compratore, il
venditore è
liberato dalla proposta ovvero la vendita si perfeziona se la merce
è presso
l'acquirente. .
B) Vendita a
prova
L'art. 1521
c.c.
prevede la vendita a prova e stabilisce che essa si realizza quando le
parti
hanno convenuto di sottoporre l'efficacia della vendita all'accertamento
di determinate qualità.
La vendita a
prova è,
quindi, una vendita condizionata sospensivamente all'accertamento delle
qualità
stabilite dalle parti.
La vendita in
esame si
distingue dalla vendita con riserva di gradimento essendo un contratto
già
perfetto, anche se condizionato.
C) Vendita su
campione
La vendita su
campione
si ha allorché le parti abbiano determinato il bene oggetto del
contratto facendo riferimento ad un bene esemplare
(campione): nel caso di difformità tra bene effettivamente
dedotto in
contratto ed il campione, il compratore può risolvere il
contratto.
Dalla vendita
su
campione va distinta la vendita su un
tipo di campione che si realizza allorché il campione ha la
sola funzione
di indicare in modo approssimativo l'oggetto del contratto: in tal caso
la
risoluzione del contratto può essere chiesta solo in presenza di
difformità notevoli rispetto al
campione.
7.
Il codice
civile, a
lungo, non ha previsto alcuna normativa a tutela del consumatore,
i cui interessi erano protetti solo in via mediata e
riflessa (ad es. dalle norme in materia di concorrenza sleale e antitrust).
Tuttavia, gli
obblighi
derivanti dall'appartenenza dell'Italia alla Unione Europea hanno
indotto il
legislatore a intervenire con l'introduzione di una normativa specifica
in tema
di vendite stipulate fuori dalle sedi
commerciali, a distanza e, più in generale, di contratti
conclusi dal consumatore.
Il D.Lgs. 15 gennaio 1992, n.
Le nuove norme
si
applicano ai contratti tra un operatore
commerciale ed un consumatore, per la fornitura di beni o la
prestazione di
servizi, stipulati:
‑ durante una
visita
dell'operatore commerciale nel domicilio del consumatore o nei luoghi
dove
lavora (vendita a domicilio);
‑ in area
pubblica o
aperta al pubblico mediante la sottoscrizione di nota d'ordine,
comunque
denominata.
In relazione a
tali
contratti la legge riconosce al consumatore un diritto di
recesso, svincolato
dalla sussistenza di particolari motivi, da esercitarsi attraverso
l'invio
all'operatore commerciale di apposita comunicazione nel
termine di sette giorni decorrenti dalla data di sottoscrizione
della nota d'ordine o dalla data di informazione dell'esistenza del
diritto di
recesso, oppure dalla data di ricevimento della merce. Il
diritto di recesso è irrinunciabile ed è
nulla ogni pattuizione in contrasto con la disciplina normativa
di esso.
La tutela del
consumatore si fa ancora più netta per i «contratti
di vendita a distanza», cioè quelli
conclusi tra un fornitore ed un consumatore attraverso tecniche di
comunicazione che non presuppongono la vicinanza fisica fra le parti
(vendita
su catalogo, tramite Internet, via fax, televendita etc.). Ai sensi del
D.Lgs. 22 maggio 1999, n.
La nuova
normativa
trova la sua ratio nell'esigenza di
garantire il giusto equilibrio tra le posizioni contrattuali a fronte
dei
possibili abusi provenienti dalla parte contrattualmente più
forte (il
professionista). Essa, in sostanza, sanziona le clausole vessatorie
(artt. 146 quinquies, 2° comma
e 1469 bis, 3° comma, c.c.) ovvero quelle
clausole che «malgrado la buona fede,
determinano a carico del consumatore un significativo squilibrio dei
diritti e
degli obblighi derivanti dal contralto».
Le clausole
vessatorie
sono inefficaci. Si tratta, tuttavia, di una figura
speciale di inefficacia, in quanto:
L’ art. 1469 quater c.c. dispone, inoltre, che
le clausole devono essere inserite nel contratto per
iscritto e devono essere redatte in modo chiaro e
comprensibile; nel
dubbio prevale l'interpretazione più favorevole al consumatore.
Il D.Lgs.
2‑2‑2002, n. 24 ‑ di attuazione della direttiva 1999/44/CE
su taluni aspetti
della vendita e delle garanzie dei beni
di consumo ‑ ha
introdotto nel Libro IV del codice civile gli articoli da 1519 bis a 1519 nonies al fine di disciplinare taluni
aspetti dei contratti di vendita (al contratto di vendita sono
equiparate
permuta e somministrazione) e delle garanzie concernenti i beni di
consumo.
In
particolare, sulla
base delle citate disposizioni, il venditore ha l'obbligo
di consegnare al consumatore beni conformi al contratto di
vendita ed è responsabile nei
confronti del consumatore stesso per
qualsiasi difetto di conformità esistente al momento della
consegna del
bene.
In caso di
difetto di
conformità, il consumatore ha diritto al ripristino,
senza spese, della conformità del bene ovvero ad una riduzione adeguata del prezzo o alla risoluzione
del contratto secondo le regole di cui all'art. 1519 quater c.c. Il consumatore decade
dai diritti previsti dalle norme in esame se non denuncia
al venditore il difetto di conformità entro due mesi dalla
scoperta (ma la denuncia non è necessaria se il venditore
ha riconosciuto
l'esistenza del difetto o l'ha occultato).
Il venditore
finale
(responsabile verso il consumatore) ha diritto
di regresso nei confronti del produttore o di un precedente
venditore o
intermediario cui sia imputabile il difetto di conformità.
9. VENDITA
«A MISURA» E «VENDITA A CORPO»
Le due forme
contrattuali citate le troviamo, ovviamente, nella vendita immobiliare,
con
effetti diversi per entrambe le parti, a seconda che optino per l'una o
per
l'altra forma:
10.
L’ art.
1552 c.c.
definisce la permuta come «il contratto
che ha per oggetto il reciproco trasferimento della proprietà di
cose, o di
altri diritti, da un contraente all' altro ». La permuta
è un contratto di scambio con una funzione
molto simile a quella della vendita. Si distingue, però, dalla
vendita in
quanto lo scambio non è caratterizzato dalla prestazione di un
corrispettivo in
denaro, ma ha per oggetto il reciproco trasferimento della
proprietà di cose o
della titolarità di altri diritti.
Tranne regole
particolari
in tema di evizione (art. 1553 c.c.) e di spese (art. 1554 c.c.) per la
permuta
sono richiamate, in quanto compatibili, le norme stabilite per la
vendita (art.
1555 c.c.).
Circa la garanzia per evizione il
legislatore riconosce al permutante il diritto di chiedere la
risoluzione
del contratto ed il risarcimento del danno, ex
art. 1479 c.c., quando deve ritenersi che egli non avrebbe
accettato la
cosa in permuta senza quella parte della quale è stato evitto.
Qualora,
invece, il
permutante evitto preferisca mantenere fermo il contratto, avrà
diritto al
pagamento del valore della cosa al momento in cui fu pronunziata
l'evizione,
tenuto conto dei miglioramenti e dei deterioramenti (mentre non
è dovuto il
rimborso delle spese del contratto), nonché al risarcimento del
danno.
La permuta
è di regola
un contratto consensuale ad effetti reali immediati, ma al pari della
vendita,
può avere anche un'efficacia obbligatoria immediata
ed un'efficacia reale differita
Tale seconda
ipotesi si
verifica quando l'effetto traslativo non è immediato e
conseguente al semplice
consenso delle parti legittimamente manifestato, ma è differito
e fatto
dipendere da ulteriori eventi, come nel caso di permuta di
cosa futura e nel caso di permuta di cosa altrui.
Il mutuo
1. NOZIONE E
NATURA
GIURIDICA
La definizione
di mutuo
è data dall'articolo 1813 c.c. secondo il quale esso è il
contratto con cui «una
parte consegna all’altra una determinata quantità di
denaro o di altre cose
fungibili e l’altra si obbliga a restituire altrettante cose
della stessa
specie e qualità». La funzione che il contratto di
mutuo intende realizzare
consiste nell'attribuzione della piena disponibilità del bene
oggetto del
contratto a favore della parte mutuataria che ne acquista la piena
proprietà.
Per quanto
riguarda la natura
giuridica, il mutuo è un contratto:
2. GLI
ELEMENTI DEL
CONTRATTO
Elementi del
contratto
di mutuo sono:
3. LE
OBBLIGAZIONI
DELLE PARTI
Essendo il
mutuo un
contratto unilaterale, anche se con attribuzioni reciproche, dopo
la
conclusione del contratto vi sono obbligazioni solo a carico del
mutuatario.
Occorre, però, distinguere il mutuo oneroso da quello gratuito.
Nel primo il
mutuatario
è obbligato a restituire altrettante cose della stessa specie e
qualità, (art.
l8l3 c.c.) ed a pagare gli interessi convenuti (art. l8l5 c.c.). Nel
secondo,
invece, sorge solo l'obbligo di restituzione.
Per quanto
riguarda l'ammontare
degli interessi, trova applicazione l'art. 1284 c.c., pertanto il
saggio
degli interessi legali, attualmente è del 3%, è
aggiornato annualmente con
proprio decreto dal Ministro dell'economia e delle finanze; a tale
saggio si
computano gli interessi convenzionali, se le parti non ne hanno
determinato la
misura.
Interessi
superiori
devono esser determinati per iscritto, altrimenti sono dovuti nella
misura
legale. L'ultimo comma dell'ari. l8l5 c.c. stabilisce che se sono
dovuti
interessi usurari, la clausola è nulla e non sono dovuti
interessi.
Prima della
modifica ad opera della L.
108/1996,l'art. 1815 c. c. sanciva la nullità della
clausola contrattuale con
cui si convenivano interessi usurari e l'automatica riduzione degli
interessi
dovuti al tasso legale.
La nuova
disposizione,
prevedendo che gli interessi non siano dovuti in nessuna misura,
costituisce un
più forte deterrente per il mutuante alla fissazione di interessi
usurari.
Inoltre,
mentre in
precedenza l'aleatorietà degli interessi veniva accertata sulla
base di elementi
di fatto (di non facile valutazione),
4. IL
PRELIMINARE DI
MUTUO. IL MUTUO DI SCOPO
Nonostante
l'opinione
contraria di qualche Autore, la promessa di mutuo, prevista dall'art.
1822
c.c., disciplina in realtà il contratto preliminare di mutuo:
con esso
una parte si obbliga a prestare un futuro consenso a consegnare la
cosa
oggetto della promessa.
La portata del
contratto è meramente obbligatoria; la promessa (che può
essere sia unilaterale
che bilaterale) benché vincolante, può non essere
mantenuta dal promittente
qualora sia intervenuta una modificazione nelle condizioni
Patrimoniali del
promissario tale da far ritenere difficile la restituzione del mutuo e
non
vengano offerte adeguate garanzie.
Il mutuo di
scopo è quel contratto in fora del
quale una parte si obbliga a fornire i capitali necessari al
conseguimento di
una finalità, legislativamente (mutuo di scopo legale) o
convenzionalmente
(mutuo di scopo volontario) stabilita, realizzata a cura dell'altra
parte la
quale si obbliga a restituire la somma ricevuta ed a svolgere
l'attività
necessaria al conseguimento dello scopo.
Il mutuo
di scopo
rientra nel più ampio fenomeno del finanziamento con il quale si
provvede a
fornire i mezzi necessari per il compimento di determinate
attività od opere.
5. IL MUTUO
GARANTITO
A tutela del
mutuante
si pone, prima di tutto, la normale garanzia generica prevista
dall'ari. 2740
c.c.
Il mutuante,
poi, potrà
esercitare tutti i mezzi conservativi previsti dalla legge (sequestro
conservativo, azione revocatoria, azione surrogatoria).
Inoltre le
parti hanno
la facoltà di stabilire forme di garanzia specifiche che possono
avere natura
reale (ipoteca e pegno) o personali (fideiussione) in relazione alle
quali si
parla di mutuo pignoratizio, mutuo ipotecario e mutuo cambiario.
Gli altri
contratti
1. IL COMODATO
La nozione del
contratto di comodato è data dall'art. 1803 c.c.: trattasi di un
contratto con
cui «una parte (comodante) consegna all'altra (comodatario)
una cosa mobile
o immobile affinché se ne serva per un tempo o per un uso
determinato, con
l'obbligo di restituire la stessa cosa ricevuta».
Dal punto di
vista
della natura giuridica, il comodato è un contratto:
Oggetto del
contratto
di comodato è, come si è detto, l'attribuzione di un
diritto
personale di
godimento.
Il godimento
attribuito
può essere esercitato in maniera diretta o indiretta, anche se
è necessaria
l'autorizzazione del comodante per il godimento indiretto concesso
a terzi.
II bene
concesso in
comodato deve essere un bene restituibile nella sua
individualità; esso inoltre
deve essere non consumabile.
Il bene
può anche
essere per sua natura consumabile o fungibile allorché le parti
l'abbiano
dedotto in contratto per un uso anomalo o come cosa specifica.
Relativamente
agli obblighi
nascenti dal contratto, si distinguono:
A)
Obbligazioni del
comodante:
B)
Obbligazioni del
comodatario:
Anche se il
codice non
pone limiti alla durata del contratto, la dottrina prevalente ritiene
che un
limite temporale debba comunque sussistere. Nel caso di comodato a
tempo
indeterminato (comodato precario) il comodatario è,
comunque, tenuto alla
restituzione del bene non appena il comodante ne faccia richiesta.
Oltre ai
normali fatti
che comportano in generale lo scioglimento del contratto, in tema di
comodato
il legislatore ha previsto varie ipotesi di recesso a favore del
comodante e
precisamente:
2. IL
FRANCHISING
Il franchising
è un
sistema di collaborazione tra un produttore (franchisor) ed un
distributore
(franchisee), giuridicamente ed economicamente indipendenti l'uno
dall'altro,
ma vincolati da un contratto, in forza del quale il primo concede al
secondo la
facoltà di entrare a far parte della propria catena di
distribuzione, con il
diritto di sfruttare, a determinate condizioni e dietro il
pagamento di una
somma di denaro, propri marchi, brevetti, nome, insegna, knowhow,
formule o
invenzioni commerciali.
Il contratto
di
franchising è previsto anche dal regolamento n. 4087/88 della
Commissione della
Comunità europea del 30 novembre 1988, entrato in vigore il 1
° febbraio 1989.
Vi sono
diverse categorie di franchising e più
precisamente:
Circa la natura
giuridica, nonostante il citato regolamento CEE n. 4087/88 che fa
del franchising
un contratto nominato, esso rimane un contratto atipico in quanto
tuttora privo
di un'organica disciplina di carattere civilistico.
Il franchising
è un
contratto di impresa, a prestazioni corrispettive, di durata, in cui
rilevano
le qualità personali dei contraenti.
Il rapporto ha
una
durata corrispondente ad un periodo sufficiente per consentire al
franchisee
di ammortizzare gli investimenti; questo tempo minimo è sempre
stabilito nel
contratto ed oscilla nella maggioranza dei casi tra i tre ed i nove
anni.
Frequente è la clausola di rinnovazione tacita del rapporto in
mancanza di
disdetta.
Il contratto
è
intrasmissibile o al più trasmissibile solo dietro espressa
autorizzazione del
franchisor. Le
parti,
altresì, sono solite prevedere in caso di cessione o di affitto
dell'azienda
del franchisee, un diritto di prelazione esercitabile dal franchisor.
Le obbligazioni
del
franchisor sono:
Le obbligazioni
del
franchisee sono:
Una clausola di es